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Sono quotidianamente in relazione con amici e colleghi che innocentemente, senza interessi – né materiali né di vanità – hanno a cuore gli ultimi. Le loro storie, la loro sorte, il loro presente e il loro futuro. La compassione è un sentimento che dà calore alla moralità e ci rende degni di essere chiamati uomini. Quindi è vitale che le energie pure della carità sappiano incanalarsi nella giusta direzione. Ora, è bene che tutti quei cuori sinceramente palpitanti per il destino dei disperati, dei derelitti, dei dimenticati… prendano coscienza del fatto che i disperati, i derelitti, i dimenticati, quelli che lo sono assolutamente, non possono nemmeno immaginare di raggiungere la nostra solidarietà. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati segnala che oltre 20 milioni di persone rischiano il livello di criticità cinque, ossia di morire per fame, fra i territori di Somalia, Nigeria, Yemen e Sud Sudan. Nel solo Kenya 65 mila minori sono vicini a morire di stenti. La siccità strazia i corpi che vengono risparmiati da conflitti che in molte aree impediscono l’arrivo degli aiuti umanitari. Missioni di soccorso, guidate dall’ONU, che oltre alle difficoltà operative nel muoversi in territori sconvolti da guerre civili – in Sud Sudan il conflitto si protrae da quattro anni – presentano una inquietante carenza di fondi. Un bambino malnutrito – e malnutrito suona come lancinante eufemismo – non può scappare. Non può fuggire. Non può imbarcarsi. La malnutrizione infantile causa disabilità in quasi due casi su cinque. Un bambino disabile non può scappare. Non può fuggire. Le madri, a loro volta, non possono correre, non possono imbarcarsi. Gli anziani, gli ammalati… neppure. E spesso queste creature annientate sono state abbandonate dai pochi che ancora conservavano forze sufficienti per provare ad allontanarsi.

 

Non sottovaluto le calamità che un migrante economico ha dovuto o dovrà affrontare per conquistarsi una vita migliore, qui da noi. Molti di loro hanno epopee di eroismo alle spalle, il cui lieto fine va strappato al destino con il nostro aiuto. Ma quando si parla di misericordia, spesso lo si fa con quell’arroganza precettiva, disordinata, ottusa, miope… soprattutto miope… che per semplificare chiamiamo buonismo: «La compassione ha come compagna una particolare impudenza, perché, mentre ad ogni costo vuole aiutare, non si preoccupa né dei mezzi di guarigione, né della specie e causa della malattia, e ciancia disinvoltamente della salute e della reputazione del suo paziente». I tanti di buon cuore che si radicalizzano nel fondamentalismo dell’accoglienza, mentre credono di accogliere i disperati, i derelitti, i dimenticati… dimenticano che la vera disperazione non vedrà mai la nostra terra. E che quelli in grado di attraversare deserti e mari sono i forti, gli audaci e i rapaci. Mai i derelitti.

 

Io non ho il coraggio di andare in Sud Sudan e neppure in Somalia; non ho la forza di imboccare la miseria con le mie mani; il raziocinio manipola le fitte della vigliaccheria ricordandomi che anche volessi, poco potrei. E allora come uno sciocco mando un bacio a tutti loro, che muoiono e non ci sanno al mondo. Ma i baci scritti non arrivano a destinazione, vengono bevuti dai fantasmi lungo il tragitto.

 

 

 

 

 

 

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