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«Recensione razzista su Tripadvisor, la cameriera: L’ho letta e ho pianto». Ieri pomeriggio questa era la notizia di apertura del Corriere.it. Già qualche ora prima aveva trovato risalto sul sito di Repubblica.it e di molte altre testate online. Lo sconcertante episodio merita di essere analizzato nel dettaglio perché rappresenta in maniera superlativa l’apostolato dell’imbecillità. L’atroce proselitismo che guida le coscienze degli invertebrati del pensiero mentre insulta tutte quelle idee che ancora camminano erette. Anch’io, come la giovane Suaila Sà, ho pianto, ma per ragioni differenti. Dal ridere, in un primo momento; per la disperazione quando mi sono reso conto dell’eco mediatica che la notizia trovava e quindi del consenso che suscitava, sintomi del diabolico avanzare di un incubo kafkiano, di un grottesco racconto pietroburghese di Gogol, ma con la profondità intellettuale di una réclame per bambini scemi. Leggiamo allora l’aberrante passaggio della recensione dello scandalo, firmata su Tripadvisor da Fabio Cenerini in riferimento alla sua esperienza presso il ristorante El bride de Larieto di Cortina d’Ampezzo: «Sinceramente non ho apprezzato una persona di colore a servire con un costume parzialmente ampezzano. Se fossimo in un ristorante internazionale a Milano sarebbe diverso, ma sarebbe come andare in Marocco e in un ristorante tipico invece di trovare un marocchino che serve in tavola in abito tradizionale, ci trovassi un tedesco biondo vestito da marocchino. Assurdo!». 

 

 

Ebbene, questa recensione è stata immantinente classificata dalla stampa come «commento razzista su Tripadvisor», suggerendo al portale di cancellarne in fretta le tracce. Ciò che malauguratamente sfugge al delirio collettivo in cui sopravviviamo è che soltanto un razzista represso può accusare di razzismo l’autore di una tale recensione. Soltanto chi conserva un disgusto verso la differenza, nelle viscide sinapsi del retropensiero, può osteggiare questo più che legittimo richiamo alla pertinenza. Ma è bene non essere semplicistici, perché quello che sta avvenendo va indagato con la ragione, anche se in un mondo incontaminato sarebbe sufficiente una pernacchia di ascella. Qui siamo di fronte a un emblematico caso di distorsione della valutazione causata dal preconcetto; osserviamo un approccio euristico il cui riflesso condizionato svela il terrore per la verga del collettivo di dominio. Essendo vittima della critica una persona di colore, l’obiezione sulla pertinenza accende il tabù ideologico e qualunque cosa si dica per motivare l’osservazione… non conta più. L’allarme razzismo è già suonato. Le tuniche bianche del Ku Klux Klan antirazzista sono già in sella ai loro palafreni multimediali agitando le torce dell’oscurantismo e della segregazione. Hai fatto piangere la povera negretta? Ovunque tu sia ti daremo la caccia. «Ma no, squisitissimi, se avessi visto un cameriera ampezzana in un ristorante senegalese, avrei espresso la stessa perplessità!». Non importa, perché il malcapitato Cenerini sta già rosolando sul rogo come intollerante. Lo stesso Giovanni Toti, di cui Cenerini è capogruppo a La Spezia, ha calato le brache di fronte al pensiero unico istituito e per timore di ritorsioni ha puntato il dito contro il suo uomo: «Ha fatto una belinata». La censura del governatore utilizza peraltro un regionalismo lessicale che suona irresistibilmente ironico, calato nel contesto della vicenda, ma più in generale, i commenti che ancora si leggono sul recensore vanno dall’ignorante, al becero fino al troglodita. Ignorante, becera, troglodita è questa stampa; ignorante, becera e troglodita è questa propaganda. Che crivella le differenze appena si involano fuori dai rovi del convenzionalismo. L’imbecillità dell’atomismo che tutto livella al suo livello. Per cui con il piede di porco dell’eguaglianza fa irruzione nei pochi luoghi dell’anima dove sopravviveva una relazione fra identità e comunità, dove lo stare insieme non era la semplice contingenza di un individuo sradicato che può servire pietanze a Cortina come a Orlando o a Manchester, e si dà alla rappresaglia.

 

 

«Il mondo è di tutti!»… con questo struggente aforisma si conclude l’intervista del Corriere alla giovane cameriera della Guinea-Bissau. Povera anima! Vittima sacrificale di chi crede suo protettore. Manipolata, strumentalizzata, usata come grimaldello, come mezzo, per un fine immondo. Il giornalista le fa domande simpatetiche e lei si mostra per la ragazza pulita che è. La recensione «razzista» di Tripadvisor non viene neppure riportata perché evidentemente distrarrebbe. Il capogruppo razzista della Lista Toti è già stato identificato ed è ciò che conta. Il mondialismo burocratico con il veleno dei buoni sentimenti egualitari ha ormai infettato ogni libera identità e ora si appresta a fare lo stesso con ogni libero pensiero. Ed è questo l’enorme stronzo che viene a galla in tale patetica vicenda. ll richiamo a una coerenza solidale fra luogo e uomini, fra tradizioni e destini – anche se auspicato solo indirettamente da Cenerini, che non deve averne lucida contezza a giudicare da come si è difeso – è inaccettabile. Inammissibile. Insopportabile. Il despota non lo tollera e la massa si adegua tapina. Personalmente sono nauseato da questo senso comune irriflesso, da queste reazioni tipiche degli animali in cattività. Sì, io voglio vedere ampezzani vestiti da ampezzani a Cortina d’Ampezzo, non africani. Anche se l’africana in questione è deliziosa in abiti ampezzani. Ed è stata scelta probabilmente proprio per mostrare, attraverso il contrasto etnologico, l’esotismo della tolleranza che fa impazzire l’immaginario dei benpensanti. E il fatto che fosse adorabile rende ancor più paranoica l’accusa di razzismo, perché sottolinea l’intenzione eminentemente culturale della recensione. Anch’io amo respirare l’epos di un’etnia, i significati di una identificazione comunitaria, i gesti, i tic, le nevrosi di una prammatica tradizionale, quando visito un luogo. E sogno di vedere Suaila calata nella sua consuetudine, emancipata dalla povertà, non costretta in abiti non suoi per aspirare a una condizione più dignitosa, percepita, dietro l’ostentata integrazione, come animaletto tropicale per turisti. Voglio paesi che siano espressione delle genti che da secoli li abitano e genti che odorino della terra che hanno vangato; voglio che il bene collegiale non sia la mera somma dei beni individuali, ma una comune impresa in un comune spazio della memoria; non voglio una solitudine monologica, ma un’intimità dialogica che unisca i singoli nel suo fine come nelle sue regole d’ingaggio, anche solo mentre mangio un piatto di casunziei. Così come amo essere circondato da anziani che giocano a briscola parlando in dialetto quando ceno in una trattoria piacentina, a casa mia, e non sopporto i ristoranti «della tradizione» gestiti da cinesi.  Solo un cretino può ritenere questo genere di argomentazioni «romanticherie reazionarie», ma da cretini siamo circondati. Accusassero me di razzismo, laidi, incolti liberti! 

 

 

Il totalitarismo antirazzista è la forma più sordida di dispotismo discriminatorio che la storia ricordi, perché ricerca legittimazione in ciò che intende programmaticamente distruggere. Difende la differenza dal pregiudizio che la riconosceva perché vuole asservire all’ideologia dell’indifferenza; protegge la solidarietà indistinta perché intende demolire la solidarietà situata, comunitaria, repubblicana, l’unica che può reggere la libertà perché l’unica che sa ispirare la disciplina autoimposta: la sola che può creare le premesse per un autogoverno partecipatorio. Esattamente come ha finto di sdilinquirsi per la sacralità dei diritti civili al solo fine di sbriciolare la famiglia, naturale e originario avamposto di ogni solidarietà comunitaria. 

 

 

 

Tutti gli organismi sociali cementati da una solidarietà non intercambiabile, non estrapolabile, delocalizzabile, come la famiglia, la comunità, la nazione, vanno sgretolati. Perché sono di ostacolo all’ontologia atomista del mondialismo. Eravamo madri e padri, ora siamo genitori 1 e 2; eravamo cittadini, ora siamo sudditi. Genitori e cittadini cui è concesso baloccarsi con i capricci dei servi, ma che avranno sempre più difficoltà a farsi famiglia, comunità, popolo e nazione. I sudditi non rispettano le norme per intima convinzione, ma soltanto per vile timore della punizione, della rappresaglia. Punizione, rappresaglia, che oggi tocca all’ingenuo Cenerini sperimentare in prima persona. Eravamo carne e sangue dagli infiniti caratteri; le consuetudini, le lingue, le etnie erano la straordinaria e tangibile e pulsante ricchezza della razza umana. Oggi governa il mondo una religione senza Dio che ci ha uguagliato a specie di untuosi ectoplasmi senza più attributi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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