Boldrini: Morti e uguali
Da che faccio il giornalista, non ho mai scritto di Laura Boldrini. A differenza sua, sono sessista, e preservo una naturale cavalleria verso le signore. Oggi lo trovo necessario, perché l’ottenebramento che lei incarna è diventato uno spettacolo spettrale. Non credo nel settarismo, nel manicheismo, abito da troppo tempo questo mondo per non sapere quanto l’uomo sia impasto di bene e di male. Eppure, mai come in questi anni è diventato semplice distinguere i leoni dalle pecore del pensiero. I vivi dai morti viventi. Chi afferma la verità oggettiva ritrovando così la propria soggettività, da chi ferocemente la nega, perdendo se stesso. Mai come in questi anni si intercetta una corrispondenza fra motto e schiatta, fra riflesso condizionato ed essenza. «Il fascismo è morto», ha dichiarato Minniti. Ed è vero. Ne segue che tutti gli antifascisti che esistono, che marciano, che godono nel suo vilipendio, sono necrofili. Una necrofilia che è amore per il simile, per l’uguale appunto, cioè per una carogna fascista. Questi fieri pacifisti, alle volte turbolenti per la troppa non violenza come i ragazzi di Piacenza, potrebbero essere considerati cadaveri di laboratorio, a cui per ragioni di politica demografica sia stata tenuta nascosta la notizia di un trapasso imperfettamente riuscito. In fondo alla indignazione, alla militanza dominante… non c’è che la morte. Il fascismo è morto, Minniti. Ora è il caso di occuparsi del mortifero regime che lo ha sostituito, e di mettere i tuoi uomini in condizioni di combatterlo. O ne fai parte anche tu? La vecchia battaglia totalitaria per l’uguaglianza, persa dal comunismo, è stata vinta dall’egemonia culturale del monolito sinistrocapitalista: oggi sono finalmente tutti uguali. Morti e uguali. Ogni loro movimento somiglia ai moti riflessi di esseri il cui cuore si è già fermato; zombi, che è poi parola di origine vodù, i cui riti già sperimentano sulla propria mente, e sembrano ansiosi di sperimentare anche sulla propria pelle.
Nel giorno in cui si vorrebbe rinnovare la reminiscenza di un umano innocente e vivificatore, la morta vivente lo irride, irresistibilmente attratta da fantasmi inumani. Come una tragica marionetta robot si accende alla minima pressione sul pulsante ideologico senza retroazione fra percezione e azione, schiava, eterodiretta dall’oltretomba; come una bambola meccanica infilzata da spilli che ne alimentano a intermittenza una volontà artificiale. Mentre la vita offesa e fatta a pezzi subisce l’onta di essere trascinata come una valigia sulla macchina degli statistici uniti, che le ricordano come i crimini siano diminuiti da quando c’è l’immigrazione. E non riposa più nemmeno un passato che possa sentirsi al sicuro dal presente, poiché quest’ultimo lo rigetta in una fossa proprio nel giorno della memoria. Dove i morti uguali non sono.
Passeggia la Boldrini, manifesta, bacia, sorride, senza gioia; un automa sordocieco, ignaro di ciò che sta avvenendo intorno a lui e di cui resterà simbolo, per le generazioni a venire. E quando cercherà conforto nelle persone che ha sempre difeso, non per amore, ma per l’ineluttabile cogenza del programma che le hanno innestato, capirà che per gli Innocent Oseghale o per i Lucky Desmond lei non è una volontaria della misericordia, una madonna santissima della religione globalista da venerare, ma solo un’altra bistecca da battere. Mentre le poche anime progressiste ancora vive, benché sonnambule, che ne accompagnano convintamente il macabro automatismo, e che scendono in piazza al suo fianco, capiranno presto con Gramsci che la bontà disarmata, incauta, inesperta e senza accorgimento… non è neppure bontà, è ingenuità stolta che provoca soltanto sciagure.