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In Italia l’unica opposizione tangibile, l’unica coalizione che ha fatto immantinente quadrato contro il governo… è l’informazione. Da che ho l’età per recarmi alle urne non ricordo un fuoco di fila così fitto nei confronti di un esecutivo appena nato. Ma se ci sono gli audaci che cercano sempre lo scontro risolutivo con manovre di sfondamento – fra i quali anche qualche illustre rappresentante della stampa di destra – in questa miserabile guerra di trincea si segnala chi, come il canale televisivo La7, ha scelto la strategia del logoramento. A poco più di cinque anni dall’arrivo di Urbano Cairo a capo della rete e dall’articolo de L’Espresso a firme Di Feo-Gilioli in cui lo stesso imprenditore veniva affrescato come un rampante parvenu, un buffo Berlusconi wanna be, oggi La7 sembra essere la fanteria da prima linea e prima serata della Weltanschauung Gedi, tanto sono manifeste l’interconnessione giornalistica e la profonda affinità ideologica; superando in zelo militante i pusillanimi soldatini di Rai Tre – che vedono la sola Lucia Annunziata ancora bellicosa – e gli scatenati, benché ancora abborracciati, incursori multimediali de il Post.

 

 

I programmi del canale Cairo Communication (Otto e mezzo, Piazza Pulita, Di Martedì, L’Aria che tira, Tagadà, financo Atlantide… ) rispecchiano un pluralismo di ghigne che si dannano quotidianamente per riaffermare il monismo di fondo del pensiero. Abbiamo analizzato tante volte i monotoni comportamenti dei moderatori-insinuatori/istigatori (a seconda della cifra stilistica: Floris insinua, Formigli istiga etc.) come degli ospiti fintamente super partes e grossolanamente partigiani. L’umore stantio che ne fuoriesce è quello della conventicola di affiliati, connotata da un forte accento di provincialismo capitolino, che si raduna una sera a casa di un ospite, una sera a casa dell’altro, manipolandosi reciprocamente le convinzioni fino all’orgasmo di gruppo, senza la reale volontà di un contradditorio. Anche le tiepide voci iconoclaste sono sempre messe in chiara posizione di minoranza, e invitate a comportarsi con i dovuti riguardi. Difficile vedere una coppia Bagnai-Blondet affrontare l’impositivo argomentare di Cerasa; o anche solo Foa-Rossi dialogare con l’integrità intellettuale di Calabresi. L’unico a non essersi fatto ammaestrare, se non nell’orrida abitudine della button-down con giacchetta délavé, è Marco Travaglio, di cui mi occuperò monograficamente in futuro.

 

 

Lo stesso telegiornale di Enrico Mentana e le relative edizioni straordinarie sulla distanza sono poli magnetici per questa temperie. Mentana è un conduttore straordinario, la cui abilità è persino sottovalutata, malgrado goda di una status da Comizi Curiati fra gli addetti ai lavori e da Osho Rajneesh fra le schiere dei webeti. Ha la presenza di spirito del killer e una naturalezza nell’estrarre la parola assassina anche nel guazzabuglio della pugna davvero rimarchevole. Quando dialoga, poi, mostra i tempi giusti: sa aspettare, ha senso drammaturgico, tiene in mano il proscenio senza dare la sensazione di protagonismo. Persino il suo gigioneggiare, perfettamente ricreato da Crozza, è potabile e non degenera mai in macchietta come in Giletti, forse per un fisico del ruolo più da impiegato pubblico che da play-boy di Viale Ceccarini. Ciò riconosciuto, è palesemente allineato. E poco incline a ribaltamenti di immaginario, poiché intellettualmente permaloso, come sa chiunque sia transitato anche solo una volta sulla sua pagina Facebook. Un’inclinazione evidente anche nell’incedere ancillare dei suoi inviati, Sardone e Celata. Ma la trasmissione che forse più di ogni altra definisce tale ostinata propaganda è appunto Propaganda Live. La pasquinata alla romana di Bianchi e Dambrosio – da sempre molto più divertita che divertente – si compiace nel grufolare in quella disinvoltura da birrazza con gli amici, baloccandosi in un’estetica che definirei “abbrutta” o “da pezze ar culo” per pertinenza regionale. Il programma si sforza di persuadere avvalendosi dell’argumentum ad verecundiam, ovvero di essere eloquente buttandola in caciara… perché loro sono gente schietta, genuina, che dichiara le proprie intenzioni con sincerità, e nel frattempo caca una satira sciolta e ruffianamente popolana. Si direbbe populismo anti-populista, ma definirò meglio più avanti la schiatta di riferimento. Emblematico di questo modo di essere ossimorico un intervento di “Zoro” durante la puntata di Otto e mezzo dell’altrieri, che ha sottolineato come Matteo Salvini, nel suo agire così affermativo e sprezzante, insulti tutta quella parte d’Italia che non la pensa come lui. Risibile rampogna se fatta da chi dipinge esplicitamente – non si capisce bene da quale atelier di Calle de La Plata – la maggioranza degli italiani come cretinoidi-fascisti nei feriali grillini… e cretinisti-fascistoidi durante i festivi leghisti. Proprio ieri sera si è chiusa la stagione 2018 di Propaganda Live con un coraggioso monito: “Non siate razzisti!”. E il razzismo è la vera ossessione di questa gente, come reduplicato dalla patetica copertina de L’Espresso oggi in edicola: “Uomini e no”, con un ragazzo di colore affiancato a Salvini. Titolo che si dà un tono citando Vittorini, ma che è tetro manifesto di vile divulgazione. Epperò tale fissazione deve avere una causa, un’origine i cui significati superino l’interesse tattico del momento. Mi sono sempre interrogato, soffermato sulla questione… e alfine ho maturato un’opinione.

 

 

Il razzismo di cui loro blaterano (“sporco negro!”) è talmente fuori dai tempi – in cui piuttosto le nuove generazioni vivono idolatrando-scimmiottando sub-culture afroamericane, fra hip hop, cinema gangsta, basket Nba e ossequiando l’esotismo terzomondista tarato sul mito del buon selvaggio – da meritare solo pernacchie. Eppure c’è un timore sublimato in filigrana: la paura della discriminazione. Come abbiamo scritto in passato la discriminazione è elemento costitutivo dell’esistenza umana, prerequisito di ogni scelta, dalle mele al supermercato alla compagna/o con cui vivere. Loro tuttavia la temono, forse perché furono atavicamente discriminati, e ancora ne hanno panico; magari non erano i più simpatici della classe… erano un po’ catenacci e nella squadra di pallone finivano in panchina… plausibilmente da ragazzi interpretavano l’ingrato ruolo degli scaldafighe o, nel caso delle donne, parti ancor più ingrate. Così oggi, pur cresciuti e affermati, in un remoto stanzino di tremarella dell’inconscio ancora paventano una discriminazione verso la loro razza. Perché epidermicamente si riconoscono intimamente della stessa natura, per cui si cercano, si difendono l’un l’altra e tutti insieme corrono a nascondersi dietro la sottana del Potere. Per il quale, in genere, combattono le guerre, difendendone gli interessi con spirito mercenario, senza eroismo alcuno, sul sempre più sterminato campo di battaglia dell’opinione. Sono tipi umani opposti, ma strategicamente complementari alle anime molto ben acconciate con cestino di vimini e pomate bio alla calendula fra cui vivo in Mario Pagano, perché cooptati dalla stessa consorteria: i primi dolosi, i secondi colposi, entrambi arnesi. Arnesi di quel Potere, neppure più tanto occulto e soverchiante, che ha ritenuto necessario mettere in scena una declamatoria mimesi di carità laicista servendosi di suggestioni proletarie e umanitarie, al fine di proseguire il saccheggio senza venir disturbato da un’eventuale presa di coscienza dei più, che sempre di più sono.

 

 

 

A questo punto vorrei sottoporre alle vostre teste post-convenzionali una speculazione, forse un po’ oziosa, ma ai miei occhi accertabile. Come avevo già scritto in passato, se in fisiognomica già da Aristotele si rifletteva sulla possibilità di leggere in un volto alcune peculiarità caratteriali, io mi sono sempre ritenuto in grado di inferire dall’aspetto le simpatie politiche. Anche se il soggetto fosse impegnato a dibattere sulle code alla vaccinara. «Poiché il sopracciglio spesso dice il vero, poiché occhi e nasi hanno la lingua, e l’aspetto proclama il cuore e le inclinazioni, basta l’osservazione ad istruirti sui fondamenti della fisiognomica; spesso osserviamo che persone con tratti simili compiono azioni simili e hanno simili pensieri». Ovviamente non vengo ad affermare che ci siano parametri antropometrici per intercettare un elettore PD, ma una “faccia sinistra” (tradotto dal dialetto piacentino) indubitabilmente c’è e l’uomo coltivato può intercettarla, anche quando è un poco meno manifesta di quelle che portano in giro Orfini, Saviano o Bertazzoni. La7 è un distillato di facce sinistre e la disinformazione che ne segue rappresenta la bio-logica conseguenza di tali fisionomie. Naturalmente ci sono eccezioni al tratto comune: Lilli Gruber somiglia più a una senatrice di Forza Italia, eppure non credo lo sia mai stata. Cionondimeno, guardando i programmi a volume spento, sarebbe sufficiente osservare le smorfie e gli abiti, per immaginare il tenore delle idee. Ma come hanno inoppugnabilmente certificato gli ultimi rivolgimenti domestici e internazionali – ben più indicativi delle valutazioni di una trascurabile figura come la mia – questa strategia di logoramento sta logorando chi se ne serve: perché il “razzista-populista” sente, nasa questa “razza” di propaganda e inizia a schifarla.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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