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La più grave crisi che il mondo occidentale si trova innanzi dalla fine dei sanguinosi conflitti del secolo scorso – l’immigrazione di massa – avrebbe una soluzione piuttosto semplice. Sul filo del rasoio di Occam, mi pare di poter affermare quanto segue. La nostra società si divide in buoni e cattivi. In virtuosi e meschini. E’ ormai acclarato. Filosofi, scienziati, matematici, sociologi, politologi, analisti, giornalisti, Maurizio Martina, ce lo hanno dimostrato. In egoisti e altruisti. In fascisti, o comunque reazionari, e progressisti. Le comunità statuali non ne sono che il superabile riflesso imperfetto. Ci sono Stati buoni, ovvero con una maggioranza di cittadini illuminata, e Stati cattivi, con una maggioranza ottenebrata. E che cosa ci si aspetta dai cittadini e quindi dagli Stati cattivi? Che si comportino in maniera degenere, abietta. Precisamente quello che sta succedendo. I singoli si mostrano aggressivi o codini, le famiglie si chiudono nel proprio orticello e i governi di riferimento, i cui rappresentanti agiscono per voce di una maggioranza filistea, si muovono di conseguenza. Trump, Orban, Salvini ne sono leader esemplari. Ciò che si fatica a vedere, a intercettare, a palpare con mano, è l’esempio dei buoni cittadini e degli Stati virtuosi. Che cosa sta edificando il loro nobile magistero, ispirato alla mutualità universale? In che maniera sta dirozzando il riflusso di questi sentimenti grossolani? Piani, bozze, scomuniche, moniti, appelli, ciance, pippe, spifferi di culo. Per ora questo.

 

 

 

Il leghista non vuole immigrati in casa sua. Non li tollera. Quando vede un clandestino che defeca in una fontana… l’irritazione supera in lui la pietas e finanche la curiosità etnologia. Perché è leghista. Senza compiacimento, né senso di colpa. E’ solo leghista. Ma tutta la meschinità, la grettezza, l’egoismo dei retrivi verrebbero superati con una scrollata di pashmine se i belli di cuore, i generosi, gli indulgenti, i progressisti, quelli ampi di vedute e di animo, facessero seguire alle parole i fatti. Se ogni casa generalizia della Chiesa, ogni singola proprietà ecclesiastica, fosse aperta al povero, al diseredato, allo straniero. So che molti venerabili sacerdoti fanno opere di carità in tutto il mondo e ammiro il loro sforzo di retroguardia; ma sono altresì certo che la potestà del collegio episcopale e quella del suo gruppo immobiliare abbiano mezzi sufficienti per evangelizzare e santificare moltitudini. Hic et nunc. Meschinità, grettezza, egoismo, verrebbero sconfitti se in ogni salotto laico irradiato dall’umanitarismo terzomondista e dagli archi Castiglioni, se su ogni chaise longue disegnata da Le Corbusier per Cassina riposasse – sfinito eppure integrato – un immigrato sudanese, o anche solo un musicante zingaro. Se chi è contro i muri, le barriere, per i ponti, gli open space relazionali, abbattesse i muri di casa propria, togliesse le telecamere di videosorveglianza, i dobermann dal giardino, le serrature alle porte, e spalancasse i cancelli all’integrazione, che per ora si esercita solo nei confronti dell’etnia bisaya, tradizionalmente abile nell’uso del ferro da stiro. Se ogni Stato che predica l’accoglienza, che si indigna per i rigurgiti xenofobi dei vicini, disserrasse le braccia e le lanciasse verso lo sventurato in un tangibile abbraccio di fusione sociale, il “fenomeno epocale”, “strutturale”, “inevitabile”, avrebbe svelta soluzione. E soltanto loro sanno davvero quanto pacifica, proficua ed elettrizzante!

 

 

In genere si taccia questo argomentare di populismo. Parola inventata da quelli che fanno i filantropi con i filippini degli altri. Lo si denigra come semplicistico, cercando di nasconderne la sublime semplicità. E allora li sfido! Li sfido a provarmi con l’eloquenza dell’esempio che se ciascuno di loro adottasse un immigrato, un solo immigrato a famiglia, i centri di accoglienza non si svuoterebbero nel giro di qualche settimana! Basta adottare bambini bengalesi per poi soffrire nel vederli crescere a distanza! Adotta un già formato profugo nigeriano! Perché sono tantissimi (siete tantissimi!), sono motivati e pronti a tutto per coronare il sogno dell’integrazione (almeno quanto lo siete voi). «Perché un pensiero cambi il mondo, bisogna che cambi prima la vita di chi lo esprime. Che si cambi in esempio». Lo scrisse Albert Camus, autore che si può facilmente trovare in ogni scaffale Feltrinelli sotto la lettera “C”, a fianco del più celebre Gianrico Carofiglio. Quando tutte le Evelina Maria Augusta Christillin wanna be, che si struggono per la barbarie pentaleghista, daranno una bella strofinata di sapone di Aleppo biologico alle ruvide terga di un rifugiato – o anche soltanto di un anziano mendicante di incerta provenienza che dorme fra i cartoni di fronte a Brooks Brothers – per poi versargli un tonificante Dajeeling Castleton 1st flush delle cinque, l’emergenza finirà. E vivremo realmente – vivranno realmente – nel mondo che vagheggiano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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