Detta così pare una provocazione: la verifica di greco, latino o italiano con  lo smartphone sul banco. Lì, acceso, con tanto di permesso dei prof e, quindi libero accesso a regole e grammatiche.

Cristina dell’Acqua, è docente di latino e greco a Milano, autrice appassionata di nuove metodologie didattiche. Ha scritto un libro che si intitola “Il futuro è antico” sull’uso del teatro nella formazione dei ragazzi 2.0 (ed. Paloalto). Ma ne ha già scritto un altro – in uscita – “Il dialogo è un arte”   #lascuolachevorrei , un vero e proprio manuale di idee operative per l’utilizzo della didattica collaborativa basata sul dialogo socratico. Insomma è una che guarda indietro per puntare avanti. Molto avanti. Ecco perch non è una di quei prof. che si tappano gli occhi davanti alle nuove tecnologie, ormai prolungamenti naturale dei nativi digitali.

E sull’utilizzo degli smartphone a scuola si è posta una domanda: “tenerli sul banco o sotto il banco”. Ecco qui di seguito le sue osservazioni. Sicuro motivo di riflessione per genitori e insegnanti.

Nel mondo della scuola docenti e genitori parlano spesso del famigerato smartphone e della possibile deriva di un uso eccessivo della tecnologia in classe. Trovo la questione interessante: usare gli smartphone in classe? Tenerli sul banco o sotto il banco?

Le motivazioni per non avere questi nemici sul banco sono evidenti e dibattute. Invece usare uno strumento tecnologico, ad esempio, durante una verifica, è la provocazione massima per un docente, me compresa che insegno latino e greco. A favore di questa tesi si schierano coloro che ritengono che, paradossalmente, l’uso “dichiarato” di uno smartphone in alcuni momenti della didattica stimolerebbe negli studenti lo studio attivo e non quello sterilmente meccanico e mnemonico.

Chiaramente il docente deve pensare a verifiche in cui la risposta di tipo mnemonico non è sufficiente per lo svolgimento della prova, una verifica in cui si deve mettere in gioco una metabolizzazione dei contenuti che non si può improvvisare, ma che è frutto di tempo e cura.

Insomma, per i sostenitori del device, lo smartphone sul banco sembrerebbe dare vita ad un circolo virtuoso che contribuisce concretamente alla didattica di competenze e non solo dei contenuti.

L’uso abbondante del condizionale nasce dal fatto che io per prima sto riflettendo sull’argomento.

In particolare penso se lo smartphone possa essere uno strumento utilizzabile con successo nello studio della lingua: italiano, latino, greco, inglese che siano, mi interessa immaginare momenti in cui si usino gli strumenti del mestiere dei nostri alunni, per dimostrare ulteriormente loro che  non è tanto la categoria grammaticale o la traduzione mnemonica che ci stanno a cuore per la loro formazione, ma la riflessione sull’uso della lingua, l’etimologia, la storia, il confronto con altre lingue... Il cuore della loro formazione è in loro, non negli smartphone, che comunque, ci piaccia o no, fanno parte della loro vita. Potrebbe essere per loro una rivelazione”. 

Se tu sei, loro saranno”.

 

 

 

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