Dopo lo strappo, si riapre il dialogo fra il Vaticano e gli ebrei italiani
Tira aria di distensione a Roma. Dopo le tensioni dei giorni scorsi, fra il Vaticano e gli ebrei italiani si riapre finalmente uno spiraglio di dialogo. Tre giorni fa il Papa ha teso una mano, e oggi gli ebrei mostrano di aver colto l’importanza del gesto. Torna un po’ di sereno, dunque, anche se non sarà facile ricucire strappi che, di colpo, erano sembrati addirittura in grado di vanificare gli enormi passi avanti compiuti nel Novecento (dal Concilio vaticano II alla storica visita di un papa, Wojtyla, nella sinagoga di Roma) riaprendo antiche ferite.
Al centro dei dissidi recenti, ovviamente, c’era il 7 ottobre con la sua scia di dolore. I vertici della Comunità ebraica di Roma avevano manifestato apertamente «delusione» per le posizioni della Chiesa sulla guerra Israele-Hamas. «La Comunità ebraica, e non solo, è molto delusa sì – aveva detto il rabbino capo Riccardo Di Segni, in un’intervista al Il Giornale del 22 gennaio – lo vedo anche dai commenti di questi giorni dopo il mio intervento. C’è molta delusione». L’intervento è quello tenuto alla platea della Pontificia Università Gregoriana nella giornata dedicata al dialogo tra ebrei e cattolici. Senza troppi giri di parole, infatti, Di Segni aveva parlato di «un miscuglio di dichiarazioni politiche e religiose che ci hanno reso perplessi e offesi», sottolineando le «molte contraddizioni nella Chiesa emerse dopo gli attacchi di Hamas e la guerra a Gaza». Lo ha riportato Pagine ebraiche, in un articolo del 18 gennaio, aggiungendo il riferimento alle figure che avrebbero mostrato – agli occhi dell’ebraismo italiano – «una teologia regredita, un’incomprensione sostanziale della situazione». Sarebbero «teologi, cardinali», il «patriarca latino di Gerusalemme» fino ai «livelli più alti del mondo cattolico». Non una cosa da poco, dunque. Però lo stesso Di Segni, nell’intervista, aveva manifestato anche la «speranza» che la delusione fosse «compresa» e che «la crisi» fosse risolta.
E a distanza di due settimane, il Pontefice ha scritto una lettera importante, «ai fratelli e alle sorelle ebrei di Israele». Destinataria la teologa Karma Ben Johanan, tra le promotrici di un appello al Pontefice sottoscritto da circa 400 tra rabbini e studiosi per il consolidamento dell’amicizia ebraico-cristiana dopo la tragedia del 7 ottobre. «Il percorso che la Chiesa ha avviato con voi, l’antico popolo dell’Alleanza – ha scritto il Papa – rifiuta ogni forma di antigiudaismo e antisemitismo, condannando inequivocabilmente le manifestazioni di odio verso gli ebrei e l’ebraismo, come un peccato contro Dio». La lettera contiene un riferimento implicito all’attacco di Hamas come causa scatenante del conflitto in corso in quella che – parlando nuovamente di «guerra mondiale a pezzi» il Papa, come da tradizione, chiama «Terra santa», che «purtroppo – dice – non è stata risparmiata da questo dolore, e dal 7 ottobre è precipitata in una spirale di violenza senza precedenti». «Il mio cuore è lacerato alla vista di quanto accade in Terra Santa, dalla potenza di tante divisioni e di tanto odio» ha detto il Papa.
L’iniziativa di Bergoglio è stata vista con favore nel mondo ebraico. «Sono molto lieto che il Papa abbia risposto all’appello per il consolidamento dell’amicizia ebraico-cristiana dopo il 7 ottobre – ha commentato il presidente della Comunità di Milano, Walker Meghnagi – È un inizio promettente, anche se c’è ancora molto da fare. Rilevo con piacere che c’è il riconoscimento che il conflitto bellico di oggi nasce il 7 ottobre, che è una implicita condanna del pogrom e il riconoscimento che da esso è nata la guerra, causata quindi da Hamas». «Inoltre – dice ancora – è importante la sottolineatura del rifiuto di ogni forma di antigiudaismo e antisemitismo che vengono definiti “peccato contro Dio”; cosa che apprezziamo poiché negli ultimi mesi avevamo avuto diversi brutti segnali da parte di alcuni membri rilevanti del mondo della Chiesa che si erano espressi in maniera offensiva verso l’ebraismo». «Infine – prosegue il presidente – fa piacere vedere come il Papa ricordi il dramma degli ostaggi, troppo spesso dimenticati da tanti, troppi governi».
«Tutto ciò premesso – aggiunge – ci sono ancora alcune criticità da affrontare: dal riconoscimento degli stupri di massa ai danni delle donne ebree all’odio antiebraico insegnato nelle scuole di Gaza (e Cisgiordania) senza dimenticare i redditi garantiti dai governi palestinesi alle famiglie dei terroristi che uccidono ebrei». «Purtroppo – conclude Meghnagi, parlando del ruolo nefasto del regime negazionista dell’Iran – se non ci si impegnerà a spegnere queste fonti di odio, ogni sforzo sarà vano e passeremo da una guerra all’altra».