Dopo oltre 500 anni, tornano gli ebrei in Sicilia. Non solo presenze individuali, tracce di una storia antichissima e importante. No, non solo. Dopo oltre 5 secoli, torna una una presenza istituzionale, comunitaria, a partire dalla figura del rabbino.

Rav Gilberto Ventura ne ha parlato ieri alla “Sicilia”: “Sono stato invitato ad assumere l’incarico di rabbino capo della città di Catania a nome della Comunità ebraica locale e di tutti coloro, discendenti e non, che hanno il desiderio di saperne di più sull’ebraismo, sia in termini di conversione (ritorno), sia semplicemente per apprendere e arricchire la propria cultura storica e spirituale».

“A 531 anni dall’Inquisizione che nel 1492 costrinse gli ebrei a lasciare la Sicilia – ricorda il giornale – lui è il primo rabbino chiamato a svolgere un ruolo di riferimento per la comunità ebraica locale.  E non solo. «Il nostro lavoro, in collaborazione con rabbi Amsalem e rabbi Scialom Mino Bahbout, si svolgerà nella Sinagoga di Catania dove, oltre alla liturgia e alle feste dello Shabbat, si svolgeranno studi sulla Torah, corsi di ebraico, cultura».

Il portale dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane attesta come “la prima notizia certa di una presenza ebraica a Palermo risale al 598 e.v. e si rileva da una lettera di Papa Gregorio Magno, che impone alle autorità ecclesiastiche la restituzione di beni requisiti ad alcuni ebrei residenti in città o l’eventuale risarcimento del danno procurato”. “Si può comunque ragionevolmente ipotizzare – aggiunge – che sin dal III secolo vivessero a Palermo gruppi di ebrei di lingua greca”.

In Sicilia gli ebrei erano arrivati, probabilmente, insieme ai fenici. Probabilmente già presenti sull’isola nel III secolo a.c, a seguito della distruzione di Gerusalemme nel 70 d.c. la Sicilia divenne una delle loro destinazioni preferite.

Secoli dopo, durante la conquista della Sicilia, anche gli arabi favorirono l’immigrazione di numerosi ebrei maghrebini, e nell’arco di circa sei secoli fiorirono numerosi insediamenti in tutta l’isola (se ne contano ben 51, fra i quali quello di Palermo, il più importante. Gli ebrei palermitani intorno all’anno mille edificarono un loro sobborgo l’Hârat ‘al Yahûd (il quartiere dei giudei), in seguito chiamato Giudecca che, all’esterno della cinta muraria punico-romana e stabilmente abitato in prevalenza da ebrei sino al 1492.

In quel fatidico anno, tutto cambiò rapidamente. La caduta, il 2 gennaio 1492, del Sultanato di Granada diede una forte accelerazione al processo costitutivo di un regno unitario spagnolo, e la presenza di ebrei e mori fu percepita come un ostacolo alla costruzione di un’identità ispanica. La “soluzione” del problema, secondo Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia, sarebbe stata l’espulsione di tutti gli ebrei dal nascente regno di Spagna e dai suoi possedimenti.

“L’editto fu firmato a Granada il 31 marzo 1492 – ricorda l’Ucei – ed ebbe anche tra i suoi obiettivi l’acquisizione dei beni degli ebrei, allo scopo di ripianare le forti perdite economiche determinate dalla lunga guerra con i mori. Il 31 maggio 1492 fu trasmessa all’autorità viceregia di Palermo copia dell’editto d’espulsione redatta esplicitamente per gli ebrei siciliani. Il decreto prevedeva, per gli ebrei siciliani, l’espulsione dal regno entro tre mesi (18 settembre), pena la morte dei contravventori”.

Le comunità ebraiche italiane ottennero tre rinvii. Allo scadere dell’ultimo rinvio, il 12 gennaio 1493 ebbe definitivamente fine la lunga permanenza degli ebrei in terra di Sicilia, durata per le comunità della Sicilia orientale quindici secoli e per quelle della Sicilia occidentale dieci secoli. “Trascorsi cinque secoli dalla cacciata degli ebrei – dice l’Ucei  – anche il ricordo di questa lunga presenza è stato cancellato dalla memoria storica dei siciliani. È come se gli ebrei siciliani, di fatto, non fossero mai esistiti”.

Ma ora quella storia, che pareva finita, ricomincia.

(nella foto la Menorah sul paese di Gangi, opera di Carmelo Zaffora)