Chi sono i cartografi
Da qualche parte bisogna pure ricominciare. Ho abbandonato il mio vecchio blog. Si chiamava Mab, il sogno di Mercuzio e sonnecchiava sulla piattaforma di splinder. Ora quel pezzo di mondo, mi dicono, sta per essere cancellato, per chi ancora vuole dargli un ultimo sguardo può navigare verso questo indirizzo: mab.splinder.com. Spero presto di poter trasferire tutti qui. Ma se hai scelto di fare il cartografo il passato devi copiarlo su una chiavetta e viaggiare leggero, imparando a archiviare le cose.
Ora, prima di ripartire, voglio raccontarvi chi sono i cartografi. Non so quanti di voi mi seguiranno. Nomn ho mai avuto la presunzione di muovere grandi masse, mi basta che questo non sia un tragitto solitario, altrimenti più che disegnare le mappe di questo tempo, mi ritroverei a vivere in un universo solipsista.
Qualche volta capita di incontrare persone che seguono i tuoi stessi territori di caccia. Quando accade ti tornano in mente le parole che Ronald Everett Capps ha scritto in Una canzone per Bobby Long. «C’è un circolo segreto, sai. E i soci non sono tanti. Sono silenziosi, si annidano nell’oscurità, proprio davanti al tuo naso. Quando li vedi, è probabile che tu non li riconosca nemmeno. Non indossano abiti speciali. E li puoi trovare all’angolo di una strada tanto quanto in un bordello o in una biblioteca o in una chiesa o in un laboratorio. Molti sono in manicomio. Ce ne sono di tutte le stazze e razze, sessi e religioni. Sono quelli che sanno ascoltare ciò che gli occhi non possono vedere». Questa gente qui, di solito, non è famosa. Alcuni di loro però scrivono romanzi, saggi, qualche articolo e portano su, in superficie, qualcosa di quello che stanno cercando o un po’ di sabbia e sassi trovata qua e là. Non sai bene come definirli, forse assomigliano ai vecchi cartografi, quelli che disegnano mappe, non sempre precise, di territori inesplorati o ancora tutti da capire. In giro, negli ultimi tempi, ce ne sono un po’. Che fanno? Tracciano linee e confini, stanno provando a ridefinire la mappa del post Novecento, dopo che i muri sono caduti, le utopie sono precipitate a terra, in frantumi, con le ideologie sventrate, i sogni ripudiati, la storia interrotta, il sapere, quello del vecchio secolo, evaporato, dimenticato, sotterrato sotto lo shopping delle masse.
Per i barbari il passato è una discarica di rovine, loro vanno, guardano, prendono quel che gli è utile e lo usano per costruirsi le loro case. Sono – sostiene Baricco – come quelli che tiravano su basiliche cristiane utilizzando le macerie di un tempio pagano. Le nuove chiese sono YouTube, Google, e le parole spese in piazza, nell’agorà di Facebook. È qui che la storia viene triturata, frammentata, spottizzata, ridotta a presente. È la poltiglia dei vecchi quotidiani, la vittoria del frame e del lancio d’agenzia, la narrazione riportata alla materia bruta, non lavorata. Non c’è più il manufatto. C’è il grezzo, che scade in fretta. Dove va a finire tutta l’informazione consumata su Google? Che fine faranno i video scaricati da YouTube? Cosa resterà di tutte le parole scambiate su Facebook?
Questo viaggio si ripromette di raccontare i crocicchi e i percorsi accidentati della cultura che stiamo vivendo. Non è un blog politico, non è un blog letterario, non è un blog autobiografico. E’ solo il tentativo di tracciare una linea che dal Novecento porta verso un’altra stagione, ancora indefinita, probabilmente di transizione, per capire dove, come e con chi la cultura occidentale sta cambiando. Obiettivo ambizioso, ma io sono solo uno dei tanti cartografi che si è messo in viaggio. Altri, più bravi di me, tracceranno mappe migliori. Ma sono convinto che in questa storia ognuno debba dare il suo contributo. Forse tante linee ci daranno un’idea di quello che sta avvenendo. L’unica cosa certa è che i vecchi navigatori, le vecchie mappe, sono piene di zone buie o concumate. Non sono più aggiornate. E troppo spesso ci portano fuori strada. Buon viaggio.