Ci sono personaggi lontani, veri o immaginari, che all’improvviso sembrano incarnare lo spirito del tuo tempo. Li vedi, li guardi e scopri che da lì si può tirare una linea. Seguili. Fai come loro. Sono qui, adesso, contemporanei, come segni, simboli e simulacri. Tracciano una strada. Eroi interrotti. Eroi che escono di scena troppo in fretta, come se i tempi in cui sono vissuti fossero solo un’anteprima, un aperitivo. I cartografi di questo tempo devono seguire le tracce di Quinto Sertorio, il generale romano che scelse di farsi barbaro. Sertorio,che con Caio Mario aveva sconfitto i Teutoni a Aquae Sextiae, chiuse la sua avventura come paladino dei diritti degli iberici e dei lusitani. Fu vinto da Roma e tradito da un barbaro. Sognò per i barbari un’identità romana ribellandosi a Roma. Era l’unico modo per conservare il noumeno del passato, senza tradirlo, innestandolo sulle nuove genti. Un sogno, un’utopia, un gioco di equilibrio, un azzardo. Ma cercò un legame tra due mondi contrapposti, con la speranza di farli dialogare, di trovare una sintesi. Andò male. Ma questo non è un buon motivo per non aver cura di lui. Shakespeare lo fa uscire di scena perché la sua ombra è troppo ingombrante. Lo uccide, per far vivere Romeo. Ma lui Mercuzio è la facezia improvvisa, è colui che paga il conto della guerra ideologica e il beffardo disincanto di chi non crede nelle famiglie contrapposte. Mercuzio, morto per difendere la causa di un amico, senza crederci. Caduto per lo scintillio dei falsi nemici. Morto maledicendo. Cosa resta di lui? L’arguzia e la parola. Merita vendetta? No abbassa la tua spada, Romeo. Chi vendica il sangue ottiene altro sangue, il proprio. Maledizione alle vostre due famiglie. Mi avete ridotto cibo per vermi. “Chiedete di me domani”. .

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