Il calendario ha tutte le date scarabocchiate. Magari capita anche ad altri, ma vedere tutti quei giorni che sono andati via ti apre un buco nero nello stomaco, un’angoscia che arriva da lontano, come se l’universo pesasse sull’uomo con tutta la forza dell’infinito e non fosse il solito cielo stellato, rassicurante come la carta del presepe. Il 2011, in questi giorni, viene ricordato come un anno buio. Ci si è ritrovati a contare i mesi con il sottofondo della cantilena di questa crisi che oltre a sentirla sulla pelle sembra mandarti a male il futuro.

In fondo non è il presente quello che spaventa, la vera paura è che il futuro si vede male. Una volta la crisi sapeva di austerity, di strade senza automobili, di impiegati statali in bicicletta, di risparmi e di povertà sociale, questa invece ha un aspetto più rarefatto, quasi invisibile, sa di stipendi che finiscono in fretta e di precariato, ma colpisce i consumi in modo strano, qualche volta preferiamo rinunciare all’essenziale per non sentirci orfani del superfluo. È una forma di resistenza. Non arrendersi alla malastagione, un modo per esorcizzare questa strana crisi che s’incarta sui differenziali con i titoli di stato tedeschi. Così ti ritrovi dal panettiere o in edicola con la casalinga che stramaledice lo spread, come se fosse una nuova malattia o un sortilegio ascoltato al tg. «Come sta lo spread stamattina?». «Eh, tira a campare, signora mia, speriamo che si riprenda presto. Il dottor Monti dice che se passa la nottata possiamo sperare».

Eppure questo 2011 che sta andando via non sarà ricordato solo come un lungo inverno. Quale è il segno che lascia? La speranza è che il suo marchio assomigli a quello che quasi tutti considerano il testamento di Steve Jobs, quella frase scolpita nel discorso all’Università di Stanford, quel «siate affamati, siate folli».

Affamati in fondo lo siamo. Non di cibo, ma di futuro. Quanto vorremmo vederlo, tracciarne la mappa, i contorni, non vivere con l’ansia di chi ha perso la strada ferrata e come il bufalo si ritrova a scartare di lato e a cadere. Orbi sempre in orbita, come Mister Magoo,(http://www.youtube.com/watch?v=zQuXi4PRc-0) come canta Edoardo Inglese, cantante della leggendaria Original Slammer Band, gruppo di culto della provincia più sorda, profonda e invisibile. Noi che sentiamo il posto fisso come un privilegio, noi senza filosofie della storia, orfani di Hegel, di Marx, di Dio, noi che abbiamo perso il senso del tutto e viviamo di frammenti, di qui e adesso, di domani è un altro giorno, noi senza grandi guerre, senza Est e Ovest, senza giusto o sbagliato, quasi senza morale, noi senza la quarta parete, incapaci di stabilire dove finisce il pubblico e dove comincia la scena, noi avidi del nostro quarto d’ora di celebrità, noi che vorremmo essere immortali, noi così pochi sul declino dell’Occidente ad aspettare che la Cina cambi il corso della storia, noi senza più mezze stagioni, con la paura dell’atomo e una terra malata, noi a crescita zero, noi così fortunati, così folli, da giocarci ogni giorno il destino a dati, con la noia di chi si è accorto che navigare necesse est, vivere non est necesse, e allora quando si tratta di viaggiare proviamo a farlo leggeri, convinti che tutto quello che serve è in una qualche applicazione dell’I-Pad.

Il bello di questo 2011 è che ci sentiamo vicini alla fine. No, non è tutta colpa dei Maya, di quella profezia hollywoodiana sulla metamorfosi dei tempi e delle ere, sul 2012 dove lo zero e uno centrale danno il senso di un codice binario dove il tutto e il nulla si contendono il futuro e quei due al confine gridano un disperato ricominciamo.

 Ci sentiamo vicini alla fine perché quest’anno la fisica misteriosa e alchemica delle particelle si presenta al mondo con un’anima pop. Non è più solo roba da Einstein, da nerd con i capelli bianchi e ribelli, da saette sulla fronte di Harry Potter, da maghi esoterici e da scienziati che invece di andare al Grande Fratello scommettono tutto il loro genio sulla notorietà effimera del Nobel.

Questo è l’anno dei neutrini, piccoli superman invisibili che sull’autostrada (invisibile e metaforica mi raccomando) che da Ginevra arriva al Gran Sasso sfidano tutor e autovelox e viaggiano più veloci della luce. E tu stai lì a chiederti se è vero, se i cronometristi sono affidabili o se davvero questo fatto mette in crisi il principio di causalità, sfregia la relatività ristretta o il neutrino ha barato, magari prendendo una scorciatoia, con un salto malandrino lungo la scopa del sistema, con il suo fascio di stringhe o di supermondi porte ipotetiche da aprire per andare a spasso nel tempo. La fisica che insegue la fantascienza.

La fisica, dicevi, che ha portato i neutrini sulla bocca della satira, nelle barzellette da bar, sulle vignette dei quotidiani, sulla battuta arguta del sabato sera, quando aspetti che una ragazza si cambi d’abito: «Vai, più veloce di un neutrino». Nessuno sa a cosa servono i neutrini, ma ora sappiamo che esistono, perché anche loro sono stati benedetti dalla maledizione di Warhol e hanno consumato il loro attimo di notorietà. Questa è la verità: i neutrini sono la zuppa Campbells del XXI secolo.

 Per fortuna non ci sono solo loro. Gli italiani del Cern quest’anno ci hanno raccontato che la fuga dei cervelli è l’ultimo marchio del made in Italy. Grazie a loro abbiamo visto correre i neutrini e sempre con loro siamo a caccia della particella di Dio. I fisici ora sanno quale territorio bazzica il bosone di Higgs. La storia forse l’avete già sentita. Le nostre equazioni hanno un resto enorme che non riescono a spiegare. Tutta quella massa in eccesso non sappiamo dove sia nascosta. Di cosa è fatta? Di bosoni, forse. Ma quel bosone nessuno l’ha visto, non lo ha mai catturato. La teoria dice che c’è, ma i fatti non mostrano dove si nasconde. È un po’ come Bin Laden prima che gli americani lo ammazzassero e lo buttassero in fondo al mare, un’ipotesi di morte.

 Detto questo ora i fisici, italiani, hanno delimitato il campo. È più o meno in quella zona (metaforica anche questa). Lo hanno avvistato ma ancora non si sa se sia davvero lui o una visione. La cifra chiave è 2-3 sigma. Sigma fornisce la misura della probabilità che un fenomeno osservato corrisponda a un evento fisico e non a una fluttuazione casuale. Quanto più è grande il valore di sigma, tanto maggiore è la probabilità di aver visto qualcosa di reale. Per esempio, 2 sigma corrisponde a una probabilità del 99,5 per cento e 3 sigma al 99,7.

Troppa statistica. Allora diciamo che i cacciatori hanno avvistato qualcosa che assomiglia a una balena bianca. Forse è Moby Dick. L’inafferrabile ombra di Dio. Quella che il rabbioso capitano Achab e i marinai del Pequod hanno inseguito come un’ossessione metafisica.

Eccolo il segreto del 2011. Forse stiamo dando un senso all’universo. Quando? Forse nel 2012. Proprio nel 2012. Cavolo, la beffa sarebbe infinita. Pensate se avessero ragione i Maya. Stiamo alla scena finale del film e qualcuno all’improvviso stacca la luce. Fiat (non) lux.

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