La geopolitica del football
Il football? È la prosecuzione della guerra con altri mezzi. È il 26 giugno
1996 e il Times, parafrasando von Clausewitz, fa capire ai suoi lettori che
la semifinale dei campionati europei non è solo una partita. Si gioca a
Wembley e l’Inghilterra di Gascoigne e Shearer sfida la Germania di Sammer e
Strunz. Come diceva la signora Thatcher lo sport nazionale dei tedeschi è la
guerra, e la perdono sempre, quello inglese è il football e non vincono
(quasi mai). Southgate sbaglia l’ultimo rigore e la Germania conquista
Londra. Quel giorno il football non tornò a casa.
È solo una delle tante storie di calcio, diplomazia, orgoglio nazionale,
rivincite politiche e sogni di libertà, qualche volta anche guerra, quella
vera. Ryszard Kapuscinski ha raccontato al mondo la «prima guerra del
football». Era il 1969, qualificazione a Mexico ’70, e all’undicesimo minuto
del primo tempo supplementare José Quintanilla regalò a El Salvador la
vittoria contro l’Honduras. I governi non si amavano, i popoli ancora meno e
i tifosi per niente. Scoppiò la guerra e durò sei giorni. In America Latina
la ricordano come guerra «de las Cien Horas». Cento ore, 90 più i
supplementari con i carri armati. Andò peggio il 13 marzo 1990. Il destino
della Jugoslavia diventa chiaro quando i Bad Blue Boys della Dinamo Zagabria
e i Delije (eroi) della Stella Rossa Belgrado si picchiano e scorre il
sangue. I calciatori guardano e partecipano. La «Tigre» Arkan iniziò la
carriera di signore della guerra serbo proprio quel giorno. E i Bad Blue
Boys della Dinamo sarebbero diventati comandanti nell’esercito croato.
Ci sono partite che odorano di vendetta. È la mano de dios di Maradona che
rivendica l’orgoglio perduto delle Malvinas. Ci sono partite che chiudono
un’era. Il caudillo stravedeva per il Real Madrid. È per questo che per
molti catalani la vera fine del franchismo è la vittoria degli azulgrana del
Barça sul Real – al Santiago Bernabeu, nella primavera del 1974 – con una
tripletta segnata da un certo Johan Cruyff. E ci sono partite che sanno di
nostalgia. Le braccia al cielo di Jürgen Sparwasser, lo sguardo impietrito
di Sepp Maier e Berti Vogts, quella sera del 22 giugno, mondiale 1974,
Germania Ovest-Germania Est finisce zero a uno. Una vittoria che proietta la
Ddr verso un grande futuro, che non sarebbe arrivato mai. A volte il calcio
racconta che il peggio è passato. Il 24 agosto a Bagdad è tornato il calcio.
Lo Zawraa, squadra della capitale, ha perso la finale scudetto contro i
curdi dell’Arbil. L’emergenza è finita