Adesso chiudete gli occhi e tornate ai vostri sette anni. Forse qualcuno di voi ricorda, come una sensazione vaga, che ai quei tempi sapeva volare. Non un volo oltre le nuvole, piuttosto un galleggiare a pochi metri da terra. Siete convinti che in effetti era così. Volavate. Bastava concentrarsi e nuotare nell’aria. Poi a un certo punto tutto questo è finito. Come parecchie altre cose, come la capacità di rallentare il tempo, di studiare la società chiusa delle formiche, di tuffarsi nella second life oltre lo specchio o vedere in uno stagno il mare, o meglio l’oceano. Come la paura del buio, o di crescere, o di diventare ciò che non siete. O peggio. Come conoscere l’orrore, e perderne memoria, perché questo a volte è l’unico modo per sopravvivere.
Non è difficile entrare nel mondo di Neil Gaiman. È questione di memoria, quella più atavica, lontana, sedimentata. È tornare a una realtà dove Dio non si vergogna di giocare a dadi. È un luogo dove le cose, anche quelle impossibili, possono accadere. È solo questione di probabilità. Molto dipende dallo sguardo con cui ti avvicini a guardare il mondo. Allora ti ricordi la realtà quantica che attraversa il tuo piccolo paese. Un villaggio dove gli spazi si contano con i passi e il tempo qualche volta tende a zero e la vostra innocenza si smarrisce rimbalzando tra dimensioni parallele.
Da qui si passa per entrare nell’ultimo romanzo di Gaiman. È L’oceano in fondo al sentiero (Mondadori, pagg. 192, euro 17,50). Si comincia con un funerale e con un uomo di mezz’età che viaggia in auto senza sapere dove andare. «Avevo guidato nella campagna del Sussex, lungo strade serpeggianti che ricordavo e non ricordavo, finché non mi ero ritrovato diretto verso il centro del paesino, al che avevo svoltato, a casaccio, prendendo poi a sinistra e ancora a destra. Solo allora mi resi conto di dove stessi andando, dove stessi andando fin dall’inizio, e scossi la testa: che follia… Stavo guidando verso una casa che non esisteva più da decenni».
Eccoli i ricordi. Ecco dove la strada finisce, il casale della Fattoria Hempstock. È qui che un tempo c’erano tre donne, una molto vecchia, una madre e una ragazzina. La più giovane affermava che lo stagno è un oceano. La più anziana si ricordava del Big Bang. È un viaggio a ritroso. È un fare i conti con se stessi. È una favola nera. È realismo magico. È capire quando il male ti ha mangiato il cuore e da quanto tempo stai faticando per vederlo ricrescere. È chiedersi se è valsa la pena di vivere e sopravvivere o cercare di capire se sei tutto ciò che avresti potuto essere.
Questo è un romanzo in cui, sottotraccia, Gaiman finisce per fare il bilancio della sua esistenza, come capita a chi sta scavallando l’età di mezzo. È quel momento in cui non puoi più considerarti giovane. Lo fa con i suoi ingredienti, cospargendo tutto di fantastico, ma è proprio l’inverosimile che illumina e spiega la realtà. È un romanzo che scrive dopo otto anni di pausa. È un romanzo adulto. Comincia a buttarlo giù quando sua moglie, la rockstar americana Amanda Palmer, se ne va in Australia a registrare un album. È un momento di malinconia. È quando ti viene voglia di dire a qualcuno che hai paura di restare solo. È quando qualcosa non ti torna. Ed è strano per un uomo che ha venduto più di dieci milioni di copie. Gaiman l’autore di culto, quello che fa invidia perfino a Stephen King, un signore inglese che ha firmato due puntate eccezionali di Doctor Who, qualcuno in grado di raccontare i valori dell’America e le sue cadute con una saga epica e mitologica come American Gods. Che fine hanno fatto gli dèi? «Adesso, come avete avuto modo di scoprire da soli, in America stanno nascendo nuovi dèi che crescono sopra nodi di fede: gli dèi delle carte di credito e delle autostrade, di Internet e del telefono, della radio e dell’ospedale e della televisione, dèi fatti di plastica, di suonerie e di neon. Dèi pieni di orgoglio, creature grasse e sciocche, tronfie perché si sentono nuove e importanti». E poi c’è Sandman, la saga a fumetti della DC Comics. L’universo degli eterni, queste divinità con cui gli umani ancora oggi devono fare i conti. Come Sogno, ossia Oneiros, il plasmatore, il principe delle storie. È con Sandman e i suoi eroi che Neil Gaiman ha ricostruito l’Olimpo alla fine della modernità.
L’oceano in fondo al sentiero è invece il ritorno a casa. Avete presente quando gli dèi sono nudi, fantocci impolverati, e non hai più nessun luogo dove andare, e hai perso la strada, e ti accorgi che un dolore che sa di angoscia ti accompagna da tutta una vita, e cerchi di ridare un senso ai fili che si sono intrecciati? Bene, quello è il momento di affrontare gli incubi che pensavi di aver sotterrato e scacciarli di nuovo. E a volte, quando cadi, voli.
«Tu torni, ogni tanto» disse lei. «Sei stato qui una volta quando avevi ventiquattr’anni, me lo ricordo. Avevi due figli piccoli ed eri tanto spaventato. Poi sei tornato prima di lasciare questa parte del mondo: avevi… quanto? Trent’anni o poco più? Ti ho servito un bel pranzetto in cucina e mi hai raccontato dei tuoi sogni, delle opere d’arte che facevi».
«Io non mi ricordo».
Si scansò i capelli dagli occhi. «Così è più facile».

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