Corona rompe i muri della finanza
L’arresto di Fabrizio Corona costringe ad una riflessione su quanto possa essere attuale l’abitudine di non far transitare i propri incassi nel circuito bancario. Si tratta di un costume che sta lentamente prendendo piede non solo tra coloro i quali non “possono” depositare i propri averi per averli ottenuti in modo illecito (Corona sembrerebbe aver incassato parecchio in “nero” ad esempio), ma anche tra chi nonostante li abbia ottenuti in modo lecito non si fida (più) del sistema.
Le vicende greche (e non solo quelle), i controlli più stringenti delle autorità (anche se c’è parecchia strada ancora da fare), la tracciabilità del denaro (vedi il caso Elena Ferrante) stanno allontanando progressivamente dalla mente dei risparmiatori l’assioma “banca-denaro”. C’è chi li tiene in contanti presso la propria abitazione, magari utilizzando delle cassaforti e non i controsoffitti (vedi il caso Corona), chi li converte in investimenti “alternativi” (collezionisti di vario genere, dagli orologi ai francobolli, fino alle scatole rare di Lego), chi li trasforma in lingotti d’oro e magari li deposita in qualche caveau (spesso all’estero) senza dichiarare l’effettiva consistenza di quanto accumulato.
“È tutto folklore – ha dichiarato recentemente Jean-Marie Le Pen riguardo le accuse a lui rivolte nello scandalo Panama Papers -, con i conti digitali si trasferiscono miliardi con un clic, ma i lingotti colpiscono di più l’immaginazione”. Eppure il fenomeno esiste e non è quantificato o “quantificabile”, ancor meno quello del contante sotto al “materasso” o nei “muri”.
Che sia solo a causa della congiuntura e dei proventi in nero questo nuovo costume, o si può anche pensare che sia il sistema bancario italiano (e non solo) a non essere più in grado di far sentire i risparmiatori al “sicuro”?