Vieni a fare uno stage?
Mentre sale il tasso di disoccupazione giovanile in Italia, soprattutto grazie alla riduzione del numero di giovani inattivi (sic!) ovvero coloro che avevano rinunciato a studiare, formarsi professionalmente o cercare lavoro, trovando certificazione nelle parole del Ministro del Lavoro Poletti secondo il quale “nel quadro complessivo preoccupa la situazione dell’occupazione giovanile, per cui alla diminuzione del tasso di inattività tra i giovani corrisponde solo un aumento della disoccupazione”, fiorisce in modo quasi incontrollato ormai il fenomeno degli “stagisti”.
Sono figure che pur di entrare in contatto con il mondo del lavoro, seppur con titoli di studio e competenze importanti, vengono reclutati e sfruttati in un modo ormai dilagante. Le aziende (e non solo quelle private) si dotano di schiere di giovani di belle promesse, nascondendosi dietro ad una “futura ed eventuale assunzione”, per svolgere compiti altrimenti assegnati a figure inquadrate all’interno di contratti di lavoro. Anche a scapito della qualità, ma a tutto vantaggio del conto economico, si assiste un po’ dappertutto alla presenza degli stagisti: i “nuovi schiavi” dei colletti bianchi cui assegnare compiti ripetitivi e noiosi (ma pur sempre utili!) quali fotocopie, smistamento delle mail, organizzazione delle riunioni, fino anche mansioni molto rilevanti, quali stesura di presentazione e partecipazione a progetti importanti. Il compenso? Se si è fortunati un rimborso spese, se non lo si è una pacca sulle spalle, se proprio va male si deve pagare per lavorare (si, avete letto bene: in Uk un’agenzia chiede 3.000 sterline per un piazzamento di prestigio di otto settimane!).
Il tasso di assunzione degli stagisti in Italia, secondo uno studio di Unioncamere del 2012, è pari al 10% e una quota molto bassa degli stage sono retribuiti (con una frazione di quel che riceve un pari mansioni e ruolo assunto).
Più di un film raccontano in modo “ironico” questa nuova piaga: segnaliamo Gli Stagisti e Lo stagista Inaspettato (con R. De Niro), dove persino un 70enne prova questa “esperienza” che tuttavia riguarda per la stragrande maggioranza i Millennials di mezzo mondo Occidentale.
Non fa notizia come l’esplosione dei voucher, ma è l’altra (triste) faccia della crisi del mercato del lavoro in Italia di cui si sente parlare poco. Troppo poco.