Gira tra gli addetti ai lavori un’ipotesi che riguarderebbe un nuovo assetto del PD futuro. Che impatto avrebbe la Renxit sui consensi elettorali del secondo partito che nelle recenti elezioni di marzo ha raccolto poco più di 6 milioni di voti alla Camera (6.134.727 ) e poco meno al Senato (5.769.955). E soprattutto ne ha persi 2.613.891 rispetto alle precedenti politiche quando alla guida sedeva Pierluigi Bersani.RENZI MATTEO

Una parte della base (nelle sezioni di antica memoria) non fa più mistero del fatto che spiegare la débâcle con l’uscita della fronda interna verso LeU (proprio Bersani con alcuni altri esponenti di punta), il fatto che gli elettori “non abbiano capito”, che il Governo “abbia comunicato male i propri risultati” e nuovi populismi emergenti, non siano che una parte della spiegazione. Se è vero che Matteo Renzi ha lasciato il timone a Gentiloni (molto apprezzato come premier, quasi al pari di Minniti come Ministro dell’Interno), è altrettanto vero che ha condizionato nel bene e nel male le scelte del partito, con la goccia che ora sta facendo traboccare il vaso: il veto (comunicato in tv peraltro) alla possibile alleanza con i Pentastellati (10.697.994 di voti alla Camera). Vedere ora in quelle poltrone la Lega di Salvini (5.691.921 alla Camera), sentire snocciolare provvedimenti futuri che provengono da un micidiale mix indigesto dei programmi dei partiti pre 4 marzo e vedere ancora il partito dominato dagli “uomini” di Renzi, che sebbene stiano prendendo mestamente le distanze, restano incollati ad uno status quo dovuto ai numeri “blindati” negli organi del partito dall’ex segretario.

In questo panorama, che senza dubbio è ancora sotto shock per il mutato assetto parlamentare, oltre alle voci (infondate) sulla volontà di Matteo Renzi di fondare un proprio partito, si fa quindi strada una domanda-tabù per ora solo sussurrata: e se fosse il partito ad allontanare l’ex segretario? Quali i possibili esiti in termini di voto? Ovviamente si tratta di un esercizio che non trova un riscontro immediato, ma il saldo tra chi abbandonerebbe il PD orfano di Renzi e chi invece tra chi tornerebbe a votarlo porta non solo un segno più, ma un dote teorica superiore ad un numero assoluto a sei zeri (decisiva sarebbe comunque la figura del nuovo segretario nonchè la linea politica che verrebbe intrapresa). Ma è proprio l’assenza di una prospettiva chiara, quasi uno smarrimento nelle “categorie interpretative” evocate da Gianni Cuperlo (uno dei più seguiti “oppositori” di Renzi all’interno del PD) a rendere l’esercizio sterile.

Ma la “base” mormora e rumoreggia e sembra rimproverare all’ex segretario tra le tante cose un adagio espresso bene nelle parole di E. Zola “Quando non si è i piú forti, bisogna bene essere i piú giudiziosi”: Renzi non è più il più forte (come certificato dalle urne), nè il più giudizioso per una crescente parte degli elettori che guardano/guardavano a sinistra. E ci sono più di un milione di voti in ballo…

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