Per accrescere le proprie convinzioni, le proprie certezze e migliorare la propria dialettica c’è un unico metodo infallibile: quello di concedersi allo studio. Lo evidenziava anche Domenique Venner, scrittore del crepuscolo europeo, che nel suo intramontabile Samurai d’Occidente ci invita a ritrovare noi stessi nell’esercizio fisico e nella lettura come forma di meditazione. Sopravvivere al logorio moderno. Creare una fortezza attraverso la quale resistere e contrattaccare. Contrattaccare una società dal ventre molle che corrompe ed uccide le nostre iniziative. Per questo motivo, in queste ultime settimane, mi sono approcciato al volume Il popolo e gli dei. Così la Grande Crisi ha separato gli italiani. Passati, ormai, due mesi dalle elezioni abbiamo bisogno di fare il punto della situazione, di tracciare una linea tra vincitori e vinti, ma sopratutto di capire che rapporto hanno gli italiani, ad oggi, con il mondo della politica. Siamo nell’epoca dell’apolitia dove a trionfare è la democrazia diretta (verso dove?) del grillismo. Dove a perdere è il dibattito e lo stivale nella sua interezza. Alcune settimane fa sulle colonne de La Repubblica, Eugenio Scalfari, sollevò una polemica sulla figura dei parlamentari odierni. Scalfari ha evidenziato come una volta i deputati rispondevano ai territori, mentre oggi rispondono alle segreterie di partito. E partendo da questo assioma possiamo trovare il nesso, profondo ed implacabile, sulla realtà della disaffezione da parte degli italiani verso la politica.

Ma torniamo alla penna di De Rita e Galdo. “L’Antipolitica si nutre soprattutto del discredito delle classi dirigenti, si è aperta una profonda crepa tra il popolo e i politici. Questa crepa si poggia su tre fattori dirompenti in termini di sistema. In primo luogo la crisi dei partiti tradizionali, con le loro ideologie e la loro organizzazione, sostituiti in modo surrettizio, nella funzione di rappresentanza, da una sorta di democrazia del pubblico, televisivo e informatico. Nel vuoto della mediazione tra il capo e la folla, il leader e la moltitudine, si è accreditata nell’opinione pubblica la figura del personaggio carismatico, capace di interpretare le pulsioni e i malumori popolari”. In uno dei miei recenti articoli citavo Gustav Le Bon ed il suo La psicologia delle folle saggio immortale scritto nel 1895. La politica ha decodificato ogni linguaggio tramutandosi, come in un Ancien Regime senza Prìncipi e princìpi, in una solfa pronta per i soliti noti dove il popolo resta a guardare senza voler avere voce in capitolo. Bene quella voce dobbiamo risvegliarla. Per questo motivo abbiamo bisogno che il popolo sia in grado di forgiare, dal suo interno, nuovi leader, nuovi capi pronti a guidare la Nazione verso nuovi lidi. Le Bon scriveva: “Le civiltà così come conosciute sono nate grazie ad un piccolo gruppo di intellettuali aristocratici, mai dalla massa. La massa ha solo potere distruttivo. Il loro ruolo è sempre effettivo in modo barbaro. Una civiltà involve ruoli stabiliti, disciplina, passaggio dall’istinto alla razionalità, in previsione futura, un elevato livello culturale – tutte condizioni che la folla, lasciata a se stessa, hanno sempre mostrato non in grado di realizzare. In conseguenza di questa pura forza distruttiva, il potere delle masse è tale a quello dei microbi che dissolvono i corpi malati o privi di vita. Quando la struttura di una civiltà è compromessa, è sempre la massa che la porta alla caduta”. La mia non vuole essere spocchia o snobismo, non vuole essere discrimine verso il popolo, anche perché io sono un uomo che viene dal popolo, ma dobbiamo avere la lucidità per rilanciarci, per trovare una nuova rivolta che sfoci in rivoluzione.

Ancora Il popolo e gli dei: “Al momento,bisogna prendere atto del divorzio consensuale tra la politica e la società civile, due mondi che oggi sembrano non avere molto da dirsi. La politica è andata per la sua strada, prescindendo dalla dinamica della società e cercando sponde surrettizie, di volta in volta, con gli opinion maker, i saggi, i tecnici, gli esperti, come se la cooptazione di queste professionalità potesse colmare il vuoto delle leadership espressioni del corpo elettorale. E la società, nella parte alta, si è intestata una sorta di superiorità morale rispetto al ceto politico, fino ad assorbire le pulsioni populiste dell’antipolitica. Il rapporto è così deteriorato, per spegnersi nella reciproca separatezza. Il divorzio consensuale ha un aspetto positivo, perché potrebbe consentire a entrambi questi mondi di ristrutturarsi al loro interno, in autonomia, prima di sperimentare nuove strade di convivenza”. Servono risposte e le risposte le possiamo trovare solo in noi stessi, nelle nostre convinzioni che sono però da ricreare. Dobbiamo essere in grado di riconoscerci in un capo, in un’idea seppur combattiamo giornalmente con una società che ha superato il suo aspetto liquido per divenire vapore acqueo. Nei Seminari Martin Heidegger scrisse: “L’essenziale rimane continuare, come qui, a camminare per la stessa via, senza curarsi dell’opinione pubblica, quale che sia, intorno a sé”. Ritroveremo la nostra via, seguiremo i nostri astri per uscire “a rimirar le stelle”. www.andreapasinitrezzanosulnaviglio.eu www.andreapasinitrezzanosulnaviglio.info www.ilgiornale.it

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