Il Fisco e la burocrazia strozzano gli italiani
Se al giorno d’oggi esistono degli eroi, non sono certo i vip del grande schermo. Gli eroi della nostra quotidianità si chiamano imprenditori e portano a termine missioni ben più impossibili di qualsiasi agente 007. I loro nemici sono molteplici: una burocrazia pachidermica, tasse che hanno ormai raggiunto livelli vessatori, leggi che invece che facilitare la creazione di un ambiente di lavoro sereno creano sempre più difficoltà.
E gli imprenditori non possono nemmeno contare su qualcuno. Nel mondo reale non ci sono aiutanti come Robin Hood e lo Stato, che dovrebbe calzare la parte, rimane inerte e, nonostante predichi un abbassamento delle tasse, si limita a cambiare loro nome. La pressione fiscale per le imprese ha ormai superato il 60%. Una percentuale così alta che lo Stato si può dire socio di maggioranza di ogni azienda italiana. Un socio che gode degli utili fino a che l’azienda è sana e che l’abbandona non appena questa si trova in difficoltà. Un socio che per saziare le sue pretese utilizza Equitalia con le sue cartelle esattoriali.
Forse se nella nostra storia fatti da buoni e cattivi dovessimo identificare la nemesi del nostro eroe questo sarebbe proprio lo Stato, con la sua classe dirigente.
Centinaia di aziende abbassano le serrande ogni giorno. Migliaia di posti di lavoro vengono persi. Negli ultimi anni nessuno che si parli di destra, sinistra o qualche movimento ha fatto la sua parte perché questa situazione si risanasse. Nessuno ha dato sostegno alle imprese. Nessuno ha ridato all’imprenditore quella dignità che si trova spesso a compromettere a causa di forze maggiori. Lo Stato ha dopo anni promesso di restituire i soldi spettanti alle aziende che hanno lavorato per la pubblica amministrazione, ma le promesse si sono ancora una volta dimostrate vane e alcune delle imprese interessate hanno, nell’attesa, dichiarato fallimento.
Non è più possibile rispettare uno Stato e una politica che non rispetta i suoi cittadini. Non è più possibile avere fiducia in una classe dirigente che obbliga gli imprenditori a fare sacrifici e mai sacrifica se stessa per il bene altrui. Nessuno come un imprenditore sa cosa sia la rinuncia, la fatica e la voglia di riscatto. Chi rimane incollato alla sua poltrona non sente certo il bisogno di dare una scossa al Paese; non ne capisce l’importanza, la necessità. L’eroe non è qualcuno che siete nella sua gabbia dorata e osserva stancamente il mondo che crolla attorno a lui. L’eroe è colui che nonostante tutto cerca fino all’ultimo di rimanere in piedi
L’Italia del rilancio, dello sguardo verso il futuro è solo un sogno sgretolato dai numeri impietosi che arrivano quotidianamente nelle nostre vite come pugni nello stomaco. Il Governo Monti, Renzi ed in fine Gentiloni tutti a trazione di sinistra ci hanno disegnato una Italia da Westworld, un mondo parallelo dove abbiamo nutrito illusioni di confort quotidiano assolutamente devianti rispetto alla ragione di cruda realtà.
Un Paese il nostro senza grandi sbocchi in un mondo sempre più globalizzato. Siamo oggi un Paese in profonda crisi e che non riesce a scrollarsi di dosso la scimmia dell’impotenza, anzi, la alimenta continuamente; dall’eccesso di euforia alla depressione generale il passo è stato violento e traumatizzante. Ed il paradosso è che nonostante questo, nonostante il fondo nel pozzo in cui ci siamo cacciati siamo anche il popolo tra i più tassati. Un vero abominio. Una ragione vera per cominciare la rivoluzione, culturale e sistemica. In Italia si pagano infatti quasi 1000 euro di tasse in più all’anno per persona rispetto alla media europea.
Ad affermarlo una ricerca della Cgia di Mestre che ha comparato la pressione fiscale nei principali paesi europei e quindi ha misurato il differenziale di tassazione esistente tra gli italiani e i contribuenti dei più importanti Paesi dell’Unione. Cornuti e mazziati insomma.
Si diceva che il 2017 fosse l’anno della decompressione fiscale. Ma cosi non è stato. E questo poteva essere un segnale importante per ridare luce al tunnel in cui ci trovavamo e ci troviamo. Oggi siamo messi male come lo ervamo prima e nulla sfortunatamente è cambiato.
Il dibattito politico precedente a questo neo governo è stato per mesi e mesi monopolizzato da numeri, percentuali, tendenze del Pil e andamento dell’occupazione. Cresciamo dello 0,3 %, l’inflazione cresce dello 0,2%: si ha spesso l’impressione di parlare di qualcosa di etereo e poco concreto e alla gente normale tutti questi dati non interessano proprio nulla. Le tasse, la burocrazia, le difficoltà di accesso al credito sono invece aspetti quotidiani e molto concreti con cui le imprese e i cittadini si confrontano ogni giorno e che si auspicano che a differenza del governo a trazione di sinistra questo governo del cambiamento ci metta le mani e sblocchi questa situazione ormai insostenibile.
La difficoltà di fare impresa in Italia è evidente dal confronto con gli altri partner europei: ipotizziamo una sfida Italia- Germania. Prendiamo due aziende che producono esattamente la stessa cosa. Una ha sede nell’hinterland milanese e l’altra nella periferia di Berlino. Partiamo da uno dei principali fattori produttivi: il lavoro. Anche lasciando da parte per un attimo i difficili rapporti sindacali presenti da noi, il tasso di assenteismo e di sciopero, lo scarso aiuto che i servizi pubblici di collocamento offrono alle imprese ci rendiamo subito conto che il costo che le due aziende sostengono per retribuire i propri dipendenti penalizza nettamente l’impresa italiana. Purtroppo i nostri lavoratori oltre ad essere pagati peggio, subiscono un cuneo fiscale (tasse e contributi) che pesa molto ma molto di più che gli stessi lavoratori in Germania.
Non va meglio se guardiamo ai costi dell’energia. Una media impresa italiana paga le proprie forniture energetiche molto di più di un’azienda tedesca.
La burocrazia rende il divario ancora maggiore. Per costruire un nuovo capannone l’imprenditore italiano attenderà anni e anni per ricevere dalle autorità competenti il permesso di costruzione. L’imprenditore tedesco avrà già iniziato a far lavorare l’impresa edile minimo 1 anno prima. Ed in Germania si attende meno della metà anche per l’esito di una causa in sede civile.
Se poi la nostra impresa si trova nella sfortunata condizione di essere fornitrice di una Pubblica Amministrazione dovrà sopportare un’attesa infinita per essere pagata. Può anche succedere e capita molto spesso che la Pubblica Amministrazione tardi cosi tanto nei pagamento dei servizi alle aziende private che causi il fallimento dell’azienda stessa, una vergogna solo italiana. I ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione hanno un costo assai rilevante per le nostre imprese: i crediti vanno anticipati presso il sistema bancario e il nostro sistema creditizio è tra i più costosi d’Europa.
Poi abbiamo le tasse. Al cuneo fiscale vanno aggiunte le tasse sugli utili d’impresa, con un Total Tax Rate che raggiunge nel nostro paese il livello record del 65.4% dei profitti. Italia, terra di scartoffie e tasse. In italia il peso della burocrazia e la pressione fiscale sono arrivate a livelli veramente vessatori e di fatto soffocano l’imprenditoria, lasciandola prigioniera di una gabbia di regole tra le più solide, ahino, d’Europa.
Mentre i maggiori Paesi europei hanno adottato provvedimenti per ridurre il peso della burocrazia, noi lo abbiamo visto aumentare. Nel momento in cui molti big dell’industria italiana hanno chiuso i battenti i giovani che vorrebbero aprire nuove attività desistono dal farlo e fanno bene se pur mi esprimo cosi a malincuore: ancora oggi un numero spropositato di regole e formalismi restano il primo ostacolo per chi decide di sfidare il mercato. E’ anche per questo che il fenomeno dell’imprenditoria giovanile di cui tanti Governi soprattutto regionali, in particolare nel Mezzogiorno hanno fatto sfoggio in questi anni, in grandissima parte, ha fallito.
Sbandierata come rimedio miracoloso contro la disoccupazione e occasione per buttarsi “in proprio” nel mercato del lavoro, ha fatto passare il messaggio che fare impresa fosse un obiettivo facilmente raggiungibile. Sono infatti le barriere burocratiche ed economiche a frenare il ricambio generazionale di qualsiasi comparto economico. Industria, agricoltura, turismo, nessuno è immune dal virus molto italiano e poco europeo. Perfino il numero di procedure legali richieste per registrare una proprietà come un terreno o un fabbricato in Italia è più alto che altrove. Eppure semplificazione amministrativa e riduzione dei tempi di risposta della pubblica amministrazione rappresentano il primo presupposto per concedere alle imprese e agli individui maggiore flessibilità e operatività.
Poi, sempre che si riesca a buttar giù il progetto e avviare l’attività, arriva il fisco. Che con estrema nonchalance ti succhia il sangue dalle vene. Le tasse prendono denaro e tempo agli imprenditori italiani: soltanto gli adempimenti burocratici per pagare imposte e contributi richiedono ben 360 ore l’anno contro le 254 negli altri paesi europei e le 58 nel paese più virtuoso, il Lussemburgo.
Lo specchio della realtà vede l’immagine di un Paese immobile, dove da anni l’ingranaggio non funziona più.
E’ giunto il tempo di riforme, soprattutto perché il treno della ripresa non aspetta i ritardatari. Lo studio indica come prioritarie quella della PA, un taglio alla spesa pubblica improduttiva e del carico fiscale, soffocante per imprese e persone.
Credo che non ci sia altro da aggiungere. Per i giovani, già oggi, pensare alla pensione e fare impresa è un’impresa. www.IlGiornale.it