Trump e Gerusalemme capitale
In campagna elettorale Donald Trump si era impegnato a riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. Dopo il suo insediamento, però, sembrava che il presidente fosse indeciso se procedere o meno in tal senso, viste le inevitabili implicazioni. Ora la Casa Bianca ha deciso di rompere gli indugi, nonostante la contrarietà del mondo arabo e le preoccupazioni espresse dall’Europa, dalla Russia e dal Vaticano. Perché il presidente ha scelto di correre il rischio di far riesplodere le tensioni in Medio Oriente? Si tratta di un rischio calcolato. In cui Trump vuol rottamare la “vecchia politica” americana sul tema, fatta di difficili equilibri da gestire col bilancino.
La mossa di Trump in realtà non è nuova. La battaglia per riconoscere “Gerusalemme capitale” va avanti da decenni negi Usa. Basti pensare che nel 1995, quando alla Casa Bianca c’era Bill Clinton, il Congresso approvò una legge che esprimeva un auspicio: “Gerusalemme dovrebbe essere riconosciuta come capitale di Israele”. Conseguentemente si prevedeva il trasferimento dell’ambasciata americana, fissando pure una scadenza: entro il 31 maggio 1999. Ma quel trasferimento non è mai avvenuto per ragioni di opportunità.
Il tema è spinoso, come facilmente intuibile. Israele considera Gerusalemme come propria “capitale eterna e indivisibile”, attraverso una legge di rilievo costituzionale del 1980. Il problema, però, è che rispetto a tale decisione non è mai arrivato il riconoscimento da parte della comunità internazionale. Ed è proprio per questo che il riconoscimento da parte degli Stati Uniti assume un particolare rilievo.
Il piano approvato dalle Nazioni Unite nel 1947 prevedeva la divisione del territorio palestinese in tre parti: uno stato ebraico, uno stato arabo e la città di Gerusalemme sotto il controllo internazionale. Quel piano fu approvato dai sionisti, mentre a opporvisi furono i leader arabi. La nascita dello Stato di Israele (1948) cambiò le cose, con Gerusalemme indicata come capitale (1949) e la parte orientale della città lasciata sotto il controllo giordano. Gerusalemme Est fu inglobata da Israele dopo la guerra dei Sei giorni (1967), vinta contro Egitto, Siria, Giordania, Iraq e Repubblica araba unita.
E ancora una volta la città venne indicata come “capitale”. Anche se la legge che la riconobbe come tale, in Costituzione, arrivò solo nel 1980. Come dicevamo prima la sovranità di Israele sulla parte orientale della città santa non è riconosciuta dalla comunità internazionale, e quasi tutte le ambasciate si trovano a Tel Aviv.
Ora Trump spariglia le carte con in testa due obiettivi precisi. Da un lato riavvicinarsi alla consolidata tradizione repubblicana, che ha sempre visto Israele come fedelissimo alleato dell’America (e unico caposaldo democratico da difendere coi denti in quella zona calda del pianeta), dall’altro per mandare un segnale preciso al mondo: gli Stati Uniti dopo aver lasciato mano libera alla Russia sulla Siria vogliono tornare ad essere protagonisti sullo scenario internazionale, a partire dal Medio Oriente. Altro che isolazionismo…