Si è parlato molto, com’era giusto e inevitabile, delle elezioni presidenziali, un po’ meno del voto per il Congresso degli Stati Uniti, che in buona parte si è rinnovato. Eppure grazie ai pesi e contrappesi previsti dalla Costituzione, il Congresso gioca un ruolo fondamentale nella politica a stelle e strisce. Ha il potere legislativo, prima di tutto, quello di approvare il bilancio e di autorizzare gli interventi che comportano nuove spese. Inoltre il Senato ratifica le nomine presidenziali, a partire dai membri dell’esecutivo.

Veniamo alle ultime elezioni: i democratici hanno conservato la maggioranza alla Camera ma non hanno sfondato al Senato (guarda tutti i risultati). Nello stato della Georgia (dove vige un sistema maggioritario a doppio turno) il 5 gennaio si giocherà una partita decisiva: due ballottaggi che, in caso di vittoria, porterebbero ai democratici la maggioranza, consentendo a Biden di poter governare con il vento in poppa. Conquistando i due seggi la situazione, al Senato, sarebbe di perfetta parità, ma l’ago penderebbe dalla parte dei dem con il voto di Kamala Harris.

A giocarsi la partita sono il pastore Raphael Warnock (democratico), che predicava nella chiesa battista di Ebenezer (Atlanta), quella dove predicava Martin Luther King, e la senatrice Kelly Loeffler, che si definisce trumpiana al 100%, facoltosa moglie del presidente del New York Stock Exchange. Nell’altro collegio si contendono il seggio il giornalista d’inchiesta Jon Ossoff (democratico) e il senatore repubblicano David Perdue.

Lo “stato delle pesche” è l’emblema del profondo sud. Alle presidenziali del 2016 Trump trionfò con il 50,44% contro il 45,35% di Hillary Clinton (la differenza, tra i due, fu di 211.114 voti. Stavolta la partita è stata molto combattuta: il distacco è talmente esiguo (49,50%-49,25%) che ci sarà il riconteggio. Al momento Biden è in testa con uno scarto di 12.428 voti.

Nella forte avanzata dei democratici ha giocato un ruolo importante Stacey Abrams, ex candidata governatrice (sostenuta da Bernie Sanders) che due anni fa fu sconfitta (non senza polemiche sui presunti brogli) dal repubblicano Brian Kemp. Le pesanti accuse sollevate dai democratici vertevano sul fatto che Kemp, all’epoca segretario di stato, rifiutò di dimettersi dal ruolo chiave che ricopriva, decisivo per il controllo delle elezioni.

I sospetti su di lui furono forti anche perché in sei anni, dal 2012 al 2018, aveva cancellato più di 1,4 milioni di persone dai registri degli elettori e, per il voto del 2018, non sbloccò 53mila domande di registrazione, in larga parte di afroamericani. Reagì alle polemiche accusando i democratici di aver compiuto attacchi informatici per alterare il voto, ma le indagini si conclusero senza alcuna incriminazione.

Kemp vinse le elezioni con il 50,2% dei voti. Per la Abrams furono rubate. Si rimise in gioco con una nuova battaglia, battendo palmo a palmo lo stato per “arruolare” migliaia di volontari a cui affidare il compito, delicatissimo, di far registrare (e convincere a votare) moltissimi nuovi elettori (+591.390 rispetto al 2016, mentre l’incremento di Trump è stato di 367.958 voti). Qualcuno ritiene che l’ottimo risultato di Biden di quest’anno in Georgia sia frutto anche della pervicace Abrams.

 

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