L’annuncio della morte di un uomo che aveva fatto della radio la sua vita non poteva avvenire in altro modo, dai microfoni di quello che per decenni era stato il suo programma radiofonico. Rush Limbaugh, figura di riferimento della destra americana, è morto all’età di 70 anni. A comunicare la notizia è stata sua moglie, Kathryn Limbaugh. Famosissimo in radio, col suo programma trasmesso in oltre 600 stazioni in tutti gli Stati Uniti, per sei anni (dal 1992 al 1996) aveva condotto anche uno show in tv, oltre a scrivere sette libri. Nel 2020 aveva ricevuto la Presidential Medal of Freedom, la massima onorificenza civile statunitense: a mettergliela al collo era stata la first lady Melania Trump (nella foto), durante il discorso sullo stato dell’Unione pronunciato dal presidente Trump.

Molto amato dai conservatori e odiato dai liberal, Limbaugh aveva rivoluzionato la “talk radio” e l’intero sistema politico-mediatico statunitense dagli anni ’80 a oggi. Tramite un filo diretto con gli ascoltatori diffuse le sue idee in modo virale molto prima dell’avvento dei social network. Non aveva peli sulla lingua e amava giocare con le parole, ad esempio prendendo di mira le “femminazi“, per indicare l’assoluta intransigenza e l’estremismo di certe donne impegnate in politica. Aggiunse l’aggettivo “squilibrate” riferendosi alle oltre 500mila femministe in marcia a Washington nel 2017. Nel 2013, invece, definì “fannulloni dipendenti dal governo” gli immigrati messicani. 

Lo tsunami di parole che lo aveva reso famoso ebbe inizio grazie a un mix di riforme liberali e nuove tecnologie. Prima di tutto l’abolizione della Fairness Doctrine, smantellata dall’amministrazione Reagan nel 1987: la legge, introdotta nel 1949, prevedeva che tutti i media dovessero dare pari tempo alle opinioni contrastanti su materie di pubblico interesse. Finito questo “bavaglio”, che di fatto impediva di fare trasmissioni dichiaratamente schierate, e grazie alla possibilità di trasmettere in diretta ovunque, grazie al satellite, Limbaugh in breve tempo riuscì a imporsi come una delle voci più ascoltate nella destra americana e più temute dalla sinistra. “So che i liberal ti chiamano l’uomo più pericoloso d’America – gli disse Ronald Reagan nel 1992 – ma non preoccuparti, erano soliti dire le stesse cose anche di me, continua il tuo buon lavoro”.

L’ex presidente Donald Trump ha ricordato Limbaugh come una delle voci più influenti del Partito repubblicano negli ultimi decenni: “Ha combattuto fino alla fine: è una leggenda era un combattente, un uomo molto coraggioso. Sarà insostituibile per il suo pubblico”.

“Non conosco molti che abbiano apprezzato il 2020”, aveva detto Limbaugh alla fine dello scorso dicembre, a chiusura del suo programma. “Spero che le cose che sono in serbo per tutti noi nel prossimo anno siano certamente migliori di quello che abbiano vissuto quest’anno”, E aveva aggiunto una frase sibillina: “Non si aspettavano che oggi fossi vivo”. Un presagio della sua fine imminente. Aveva scoperto di avere il cancro ai polmoni lo scorso gennaio e ad ottobre aveva fatto sapere di essere in fase terminale.

Limbaugh incarnava il conservatorismo più acceso (per qualcuno più estremista), cercando di spingere il Gop su posizioni nettamente contrarie all’aborto e all’immigrazione senza regole. Si scontrò in modo duro prima con Bill Clinton e poi con Barack Obama (fu tra i primi ad accusarlo di non essere nato sul territorio americano). Fu bollato di razzismo, oltre che di omofobia e sessismo.  “Non ci sarebbero programmi radiofonici come li conosciamo oggi senza Rush Limbaugh – ha affermato Sean Hannity, conduttore tv tra i più apprezzati dalla destra Usa -. Non ci sarebbero Fox News o nessuno di questi network di opinione”. Limbaugh anticipò di alcuni anni il “fenomeno Trump”, senza mai però volersi impegnare direttamente in politica.

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