A forza di segare il ramo su cui si sta appoggiati… si finisce per terra. È il rischio che corrono negli Stati Uniti, dove la cosiddetta “cancel culture” va avanti come uno schiacciasassi, abbattendo statue e icone. L’ultima vittima è la statua di Thomas Jefferson, uno dei padri fondatori, che dal 1915 si trovava nella sala del consiglio comunale di New York. Una commissione municipale ha deciso che sarà rimossa, accogliendo una vecchia richiesta avanzata da alcuni consiglieri afroamericani e latinos che contestavano il passato schiavista di Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti fra il 1801 e il 1809 e fra le menti indiscusse della Dichiarazione di indipendenza del Paese a stelle e strisce.

“Avere quella statua nell’aula dove svolgiamo i nostri lavori mi mette profondamente a disagio”, ha dichiarato senza alcuna remora Adrienne Adams, consigliera comunale afroamericana. “È una statua che rende omaggio a un proprietario di schiavi che credeva che gente come me non meritava di avere gli stessi diritti e le stesse libertà di coloro che citava nella Dichiarazione di Indipendenza”, ha aggiunto Adams.

È vero, Jefferson ebbe degli schiavi nella sua tenuta. Li aveva ereditati. Quando suo padre morì, nel 1757, Jefferson aveva solo 14 anni: ereditò la terra (circa 5mila acri) e centinaia di schiavi. Pur difendendo i diritti umani si oppose all’abolizione della schiavitù. Una parentesi assai controversa della sua storia. Lui stesso si rendeva conto del paradosso, ma rispondeva con una metafora: lasciare la schiavitù è come tenere bloccato un lupo per le orecchie, si vorrebbe liberarlo ma non si può fare per paura di essere divorati. Paura dunque? Di sicuro su questo aspetto fu sempre ambiguo: in alcuni casi attaccò la schiavitù, ma al contempo si guardò bene dal far liberare gli schiavi (persino nel suo testamento non lo fece). Da una delle sue schiave, Sally Hemings, ebbe sei figli.

Il tema Jefferson-schiavitù è controverso, non ci sono dubbi, però va inserito nella cultura del tempo, nell’America del XVIII secolo. Lo storico John B. Boles: “Tutti sappiamo che egli aveva degli schiavi, la qual cosa è inconciliabile con le sue convinzioni in materia di libertà e tolleranza. Tuttavia, quello era il modo in cui era organizzata l’economia nella Virginia del suo tempo. È per questo che parecchi tra i primi presidenti erano possessori di schiavi. È una macchia innegabile in una vita per tutto il resto segnata dalla grandezza, ma non dovrebbe oscurare le cose buone che egli ha realizzato. Questo include, nella fase conclusiva del suo primo mandato, la riduzione delle tasse e del numero dei dipendenti pubblici, nonché un taglio significativo del debito federale”.

Secondo un altro storico, Sally Cabot Gunning, nella bozza della Dichiarazione di Indipendenza Jefferson aveva scritto: “La schiavitù è una guerra crudele contro la stessa natura umana”. Però quella frase fu eliminata dal testo che venne approvato. Più tardi, però, Jefferson fu decisivo, in Virginia, nella decisione di proibire l’importazione di schiavi. In un messaggio al Congresso, nel 1806, disse che era necessaria una legge “che faccia recedere i cittadini degli Stati Uniti da qualsiasi ulteriore partecipazione a queste violazioni dei diritti umani”. Il Congresso dopo un anno approvò la legge che metteva fuori legge l’importazione degli schiavi, anche dagli stati del Sud fu raggirata…

 

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