Prosegue senza esclusione di colpi il braccio di ferro tra i democratici Usa e l’ex presidente Donald Trump. L’ultimo terreno di scontro è la commissione d’inchiesta sui fatti del 6 gennaio 2021, il famoso “attacco a Capitol Hill”. Dopo un anno e mezzo è terminato il lavoro della commissione d’inchiesta della Camera, con la grave accusa rivolta a Trump di aver partecipato ad una “cospirazione criminale” cercando di risultati delle elezioni presidenziali del novembre 2020. Nelle oltre 800 pagine del rapporto il presidente della commissione, il democratico Bennie Thompson, scrive che Trump “ha acceso il fuoco della rivolta“. L’ex presidente risponde a muso duro, parlando di “caccia alle streghe nei suoi confronti”.

Senza mezzi termini Trump accusa la commissione di strumentalizzazione politica. “Il rapporto della Commissione totalmente di parte – scrive Trump sul suo social network Truth – si è dimenticato di ricordare che Pelosi (speaker democratica della Camera, ndr) non diede ascolto alla mia raccomandazione di utilizzare i militari a Washington. Ho usate le parole in ‘pace e in modo patriottico’ e ho invitato a esaminare il motivo della protesta. Questa è una caccia alle streghe”.

Mancò collegamento tra le varie forze di sicurezza

Il rapporto della commissione parlamentare si concentra principalmente sul ruolo “politico” di Trump nella rivolta, dando poco spazio ad altri aspetti importanti: ad esempio lo strano mancato allarme da parte dell’intelligence. Diversi esperti hanno definito questa defaillance come il peggior fallimento dei servizi segreti americani dopo l’11 settembre. In un’appendice del rapporto si legge che in effetti vi furono informazioni di intelligence sulle possibili violenze da parte di sostenitori di Trump intenzionati a bloccare la certificazione della vittoria di Joe Biden. Ma mancò qualcosa di decisivo: il coordinamento tra i federali (Fbi), il dipartimento per la Sicurezza Interna, la polizia del Congresso, quella di Washington e i militari.

“Le forze di sicurezza federali e locali erano in possesso di diverse informative che prevedevano violenze per il 6 gennaio – si legge nel documento – anche se alcune di queste informazioni erano frammentarie, sarebbero dovute essere sufficienti a spingere a misure di sicurezza più robuste per la sessione congiunta del Congresso. La mancata condivisione di queste informazioni e di un’azione adeguata – conclude il rapporto – ha messo a rischio le vita degli agenti che difendevano il Congresso e di tutte le persone che si trovavano al suo interno”.

 

Comunque la si pensi è indubbio che in ballo c’è soprattutto una questione politica, prima che giudiziaria, visto il ruolo ancora attivo di Donald Trump e la sua aspirazione a correre di nuovo per la Casa Bianca. Vedremo gli sviluppi nelle prossime settimane.

 

 

Foto: Wikipedia

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