L’«insostenibile» leggerezza di Intesa
L’Essere è leggero e l’averne consapevolezza è un peso difficilmente sostenibile. Certo, gli analisti finanziari di Barclays non sono proprio i massimi esperti di Martin Heidegger e di Milan Kundera, ma una questione ontologica l’hanno centrata: guardare nell’essenza di Intesa Sanpaolo è un esercizio che richiede un surplus di analisi.
L’istituto guidato da Enrico Tomaso Cucchiani non è solo la prima banca italiana per numero di filiale e anche per capitalizzazione di Borsa, ma ha anche conseguito buoni risultati nel corso del 2012. Il problema, la domanda fondamentale, però, è proprio questa: questa performance appartiene alla sostanza stessa della banca oppure è un fatto accidentale.
Purtroppo per Intesa, Barclays propende per la seconda ipotesi: i profitti derivanti dal trading (soprattutto sui titoli di Stato italiani acquistati anche con la liquidità a buon mercato della Bce e poi rivenduti con ottime plusvalenze) saranno diffcilmente ripetibili nel corso del 2013, soprattutto se la febbre da spread dovesse in qualche modo stabilizzarsi. Ed ecco che questo mette in luce la leggerezza del margine di interesse che – causa il basso livello dei tassi – non promette un costante incremento delle entrate. Ecco emergere una struttura di costi che, per quanto di poco superiore al 50% dei ricavi, potrebbe essere ulteriormente ridotta. Infine, l’incognita della crisi: la gente chiederà mutui? comprerà polizze (Intesa è il secondo player del ramo Vita in Italia) o quote di fondi?
Questa leggerezza, conclude Barclays, rende insostenibile l’attuale progressione dei ricavi. Di qui un giudizio underweight (ridurre l’esposizione in portafoglio) che è in controtendenza rispetto alla dottrina prevalente tra gli analisti (che molto spesso a Intesa assegnano un bel buy).
Wall & Street