«Mediobanca non è banca di sistema, anche perché non c’è un sistema. Le banche non devono essere grandi azionisti di industrie, non devono allocare partecipazioni di minoranza in società quotate: non è una business proposition vendibile agli investitori». Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, non avrebbe potuto spiegare meglio la rivoluzione copernicana di Piazzetta Cuccia che si appresta ad uscire dalla galassia dei patti di sindacato della quale è stata regista per circa mezzo secolo. Anzi no, forse la casalinga di Voghera non sa che business proposition  equivale a «offerta aziendale», cioè indica quello che un’impresa cerca di proporre ai suoi potenziali clienti.

Ecco, fondamentalmente Mediobanca da luglio in poi cercherà di proporre in modo nuovo un prodotto antico: il credito a medio e lungo termine destinato alle imprese, il banking multicanale di CheBanca! e il credito al consumo di Compass. Solo che per realizzare il nuovo progetto «sbloccherà» 2 miliardi di euro congelati nelle partecipazioni storiche di Piazzetta Cuccia: il 2,6% di Telecom controllato indirettamente attraverso l’11,6% di Telco, il 14,3% di Rcs o il 4,5% di Pirelli. Tutto sul mercato, anche un 3,2% di Generali che è sempre stata il fiore all’occhiello della merchant bank milanese. Che il mercato ha sempre vissuto come una holding di partecipazioni intrecciate nei salotto buoni della finanza italiana piuttosto che come una vera e propria banca d’affari: anche le valutazioni di Borsa, grosso modo, raccontano questa storia.

Insomma, quando queste partecipazioni saranno messe sul mercato, di qui al 2016 (orizzonte temporale dello strategic plan di Alberto Nagel) non ci sarà più Mediobanca a garantire un po’ di italianità in Telecom Italia. «Non possiamo essere un azionista di lungo termine», ha spiegato l’ad. Non ci sarà più Mediobanca a garantire assieme a Giovanni Bazoli di Intesa quei fragili equilibri politico-finanziari che stanno alla base di tutto ciò che gravita attorno al Corriere della Sera (a partire dalla scelta del direttore del quotidiano di Via Solferino). «Ben venga il contributo di Diego Della Valle», ha affermato Nagel auspicando un aumento della partecipazione di Mister Tod’s, già di per sé interessato a decidere in prima persona i destini del Corriere, a dispetto di Fiat. Non ci sarà Mediobanca (ma in alcuni casi non c’è stata già in passato) a trovare la quadra agli assetti societari delle galassie che ruotano attorno a Marco Tronchetti Provera e Giampiero Pesenti.

A leggere queste frasi si potrebbe pensare che stia per terminare l’era nelle quali le partecipazioni incrociate tra istituzioni finanziarie e industriale rappresentavano molto più di una partecipazione azionaria e costituivano un vero e proprio vincolo (sancito dai vari patti di sindacato), un marchio di appartenenza al club esclusivo dei «salotti buoni». Volendo metterla un po’ sul faceto si potrebbe pensare che il salotto si stia trasformando in un open space.

Ma non è così. E per una duplice serie di motivi. In primo luogo, la Mediobanca in procinto di uscire dai patti di sindacato di Rcs e Telco continuerà a essere governata da un patto di sindacato (da rinnovare a fine anno) e che continuerà a controllare poco meno del 40% dell’istituto (Unipol-FonSai è in procinto di uscire per vincoli Antitrust). Un accordo parasociale partecipato da nomi di primo della finanza come UniCredit, Vincent Bolloré, Groupama, Mediolanum, Benetton, Pesenti, Pirelli e Fininvest (che tramite Mondadori controlla il 36% del Giornale).  «Il patto – ha spiegato Nagel – ci ha dato supporto su scelte forti e non ovvie, non ha interferito e ci ha sostenuto: spero che si continui secondo questa logica, con un patto che senza sbalzi garantisca un maggior flottante aumentando il valore della banca». A oggi, infatti, «nessuno vuole uscire».

La seconda conseguenza è di natura diversa: il venir meno di Mediobanca non significa che verranno meno le banche che acquisiscono partecipazioni in imprese che intendono aiutare. È appena successo con la Nuova Camfin di Marco Tronchetti Provera. La contesa con la famiglia Malacalza è stata risolta con il sostegno del Fondo Clessidra, ma anche con il supporto di Intesa Sanpaolo e di UniCredit. Le due grandi banche potrebbero, perciò, aumentare – a seconda dei casi – la loro sfera di influenza pur continuando a svolgere il mestiere del credito.

Un’ultima annotazione merita, infine, Enrico Cuccia, il creatore di Mediobanca. Se l’Italia è grande è anche per merito di chi l’ha finanziata. Oggi non ci sarebbe Sergio Marchionne se Piazzetta Cuccia non avesse aiutato il Lingotto a tenere su la baracca. Certo, sono stati commessi anche errori: forse con un po’ più di coraggio da parte di tutti esisterebbe ancora la grande chimica italiana di Montedison. Ma questa è un’altra storia. Il vecchio «salotto buono», quello in cui si entrava con le pattine ai piedi per non rovinare il pavimento, potrebbe anche mancarci.

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