«Mps, una storia italiana» recitava il claim dello spot del Monte dei Paschi girato dal premio Oscar Giuseppe Tornatore. Altri tempi, altra gestione, orgoglio senese dappertutto e il vanto di aver riportato in Italia la banca Antonveneta che gli spagnoli del Santander avevano prelevato dopo lo spezzatino dell’olandese Abn Amro. Quella storia lo sapete come è andata a finire. Wall & Street ve l’hanno raccontata in tutta la sua evoluzione passata, presente e futura.

Ecco perché è utile ritornare su questa vicenda ora che il tandem del «rinnovamento» Alessandro ProfumoFabrizio Viola è chiamato a rendere strutturale l’azione di risanamento fin qui portata avanti. Se Mps ha avuto bisogno di 4 miliardi di Monti-bond per salvarsi, è perché l’acquisto di Antonveneta nel 2007 per circa 10 miliardi di euro (più 6 di finanziamento liquidità da restituire a Santander) fu un errore clamoroso. Avere tenuto in Italia qualcosa che italiano non era più ha peggiorato la situazione: da due debolezze non è nata una forza. Per capirci ancora meglio, Antonveneta oggi vale zero. Lo dicono la Borsa e i bilanci del Monte.

Perché allora nel 2007 fu avallata una scelta che si è rivelata esiziale? Molto semplice. Si erano fuse in quell’anno Banca Intesa e Sanpaolo Imi da una parte e Unicredit-Capitalia dall’altra. I due giganti non avrebbero perso tempo, una volta digeriti i bocconi, a crescere ancora. La Fondazione Mps, che controllava il 51% del Monte (oggi è scesa al 33%), mai avrebbe tollerato di perdere la presa e sollecitò il suo ex presidente e numero uno Giuseppe Mussari a muoversi. Il tutto con la benedizione del Pd senese che designa tuttora la maggior parte dei componenti del consiglio (deputazione) della Fondazione. Controllore e controllata si indebitarono per crescere, la Fondazione aveva bisogno di dividendi per pagare i debiti ed elargire erogazioni. Di lì ad Alexandria e Santorini il passo è stato breve.

Sui 4 miliardi di Monti-bond il Monte pagherà 360 milioni quest’anno e 380 il prossimo. Così non si va avanti: oltre alle dismissioni e alla chiusura di filiali il piano prevede un aumento di 1 miliardo per iniziare a restituire il prestito. E tornare quanto prima (almeno entro il 2016) redditivi.

Ma facciamo un passo indietro e guardiamo cos’è scientificamente il sistema-Siena. Parlando alla platea di banchieri riuniti per l’assemblea annuale dell’Abi, il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco,ha spiegato che «va incoraggiata una diversificazione dei portafogli delle Fondazioni al fine di allentare i legami, talvolta troppo stretti, con i risultati della banca di riferimento e di evitare interferenze nella governance e nelle scelte imprenditoriali degli intermediari». Alcune Fondazioni, infatti, tendono a interpretare in maniera molto ampia le prerogative di azionisti. «Ciò ha determinato eccessi, ostacolando talora il necessario ricambio degli organi aziendali e orientando la scelta degli amministratori in base a criteri diversi dalla professionalità». Insomma, basta circoli viziosi!

Bankitalia non parla mai a sproposito: la prossima settimana l’assemblea straordinaria di Mps sarà chiamata a rimuovere il vincolo del 4% che blocca ogni azionista diverso dalla Fondazione. Il nuovo sindaco di Siena, il renziano Bruno Valentini, sta già pensando a come ergere barricate in difesa della senesità dell’istituto. Ma rovesciamo la questione e chiediamoci chi potrebbe mai investire i propri soldi in un’azienda dove saprò in principio di non poter contare nulla.

La risposta ce la dà l’ad di Mps, Fabrizio Viola. «Aprire il capitale della banca a investitori istituzionali è un lavoro che esige tempo e che implica un accurato lavoro di rilancio e di sensibilizzazione  verso questa via, che è quella giusta da perseguire», ha detto ricordando che anche la Commissione Ue è favorevole a questa soluzione e l’ok al salvataggio viene anche da questa ulteriore privatizzazione.

Il rilancio basato sul canale Internet e sulla vendita di prodotti finanziari sta dando i primi frutti: il collocamento di polizze Rc auto da parte del partner e socio Axa, gruppo assicurativo francese, sta andando bene. Ora è difficile ipotizzare che i transalpini vogliano fare anche i banchieri, ma se volessero crescere? sarebbe giusto impedir loro di farlo in nome dell’italianità di Mps? E se qualche gruppo bancario straniero volesse ampliare la propria presenza italiana conquistando la terza banca del Paese con circa 5 miliardi di ricavi? Gli si deve sbarrare la porta? Magari a Bnp Paribas (che pure ha smentito l’ipotesi) non dispiacerebbe…

E allora, grazie agli analisti di Equita, facciamo due conti. «Ai prezzi attuali, ipotizzando il pagamento della cedola sui Monti bond in azioni nel 2014, la quota della Fondazione scenderebbe dal 33% al 22%, lo Stato avrebbe l’8% e il socio che dovrebbe sottoscrivere l’aumento di capitale da 1 miliardo il 28%». La Fondazione, sarebbe invece alla ricerca di investitori a cui vendere parte della propria quota, che verrebbe poi agganciata a un patto di sindacato in un secondo momento cui parteciperebbero anche i nuovi soci che sottoscriveranno l’aumento. Magari in Italia può anche funzionare così. Il mercato, invece, chiede altro. Se l’italianità è un valore, basta mettere sul piatto un miliardo di euro (o anche di più se l’importo della ricapitalizzazione dovesse essere aumentato) e Mps resta tricolore. Questo messaggio lo inviamo anche ai nostri affezionati lettori che hanno criticato il nostro post sulla pasticceria Cova sostenendo che, in fondo, mantenere Antonveneta in Italia sia stata opera lodevole. Ecco, ora sapete quanto è costato…

Wall & Street

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