Ve li ricordate Zico, Maradona, Zidane, Ibrahimovic, Thiago Silva o, più sommessamente, Lavezzi e Verratti? Se la vostra risposta è affermativa, vuol dire che saprete di cosa vi parleremo oggi.

Il nostro intento, però, non è quello di disquisire dell’impoverimento tecnico della nostra Serie A. Anche se Wall ne avrebbe da dire sull’argomento (tifando con passione per il Bari e simpatizzando per il Milan). Purtroppo la nostra materia sono le nude cifre del Report 2014 elaborato da Federcalcio, Arel e PricewaterhouseCoopers sullo stato del mondo del pallone. Lo scenario è sconfortante.

La perdita netta prodotta dal calcio professionistico italiano (Serie A, Serie B e Lega Pro) nel 2012-2013 è stata di 311 milioni di euro (in diminuzione del 19,8% rispetto al 2011-2012), il valore più basso registrato nell’ultimo quinquennio. Ma comunque un dato paragonabile a quello registrato l’anno scorso da alcuni istituti di credito, che però hanno dovuto svalutare i crediti in sofferenza. Qui il «rosso» è invece legato alle spese che superano le entrate. La perdita netta della Serie A si è attestata a 202 milioni (-280 milioni nella stagione 2011-2012).

Il valore della produzione del calcio professionistico italiano nel 2012-2013 ha raggiunto un totale di 2.696 milioni (+1,3% rispetto alla stagione precedente), di cui 2.307 milioni riferibili alla Serie, che ha così segnato una variazione positiva (+7,5%) dovuta principalmente all’incremento dei ricavi da diritti televisivi (+8%) e alle plusvalenze da cessione dei giocatori (+9,4%).

Il fatturato totale dei club europei di prima divisione, nello stesso periodo, è aumentato del 6,9 per cento. La Serie A ha fatto meglio, dunque. Ma a che prezzo? Quello di cui parlavamo all’inizio: vendendo i pezzi migliori ha aumentato le entrate. Basti pensare che nel calcio professionistico italiano le plusvalenze da cessione rappresentano il 58% degli introiti.

Vi risparmiamo la solita solfa sugli stadi di proprietà, sul valore del merchandising e sulla capacità di essere competitivi in Europa, cioè su tutti i fattori che determinano un aumento del fatturato. Basti pensare che in termini di affluenza media per partita, nel confronto con le altre quattro top league europee, i club italiani superano solo quelli francesi: 22.591 tifosi a partita contro i 19.211 della Ligue 1. Il primato è della Bundesliga (42.624 tifosi) seguita dalla Premiership (35.921) e dalla Liga (28.237). Purtroppo la crisi economica ha avuto le sue ripercussioni anche sul principale sport italiano che da solo garantisce le altre discipline (chiedere al Coni per informazioni). La contribuzione fiscale e previdenziale del sistema calcio nel 2011 è stata di 1.034 milioni di euro, in diminuzione del 3,4% rispetto all’anno precedente. Ben 892 milioni derivano dal contributo delle società professionistiche italiane, mentre 142 milioni riguardano il gettito erariale derivante dalle scommesse sul calcio.

Il costo della produzione del calcio professionistico italiano nel 2012-2013 è stato pari a 2.972 milioni (-1,5% annuo), in controtendenza rispetto ai costi aggregati dei club europei di prima divisione cresciuti invece del 2,1%. Tale risparmio è principalmente dovuto alla riduzione del costo del lavoro (-3,3% rispetto al 2011-2012), mentre rimangono sostanzialmente stabili gli ammortamenti (-0,4%). Queste due voci insieme costituiscono il 69% del costo della produzione totale. Insomma, i campioni che sono emigrati sono stati rimpiazzati da calciatori con stipendi ben inferiori a quelli dei loro predecessori.

La sorpresa per chi non è appassionato di economia è tuttavia un’altra. L’austerity per le grandi di casa nostra come Milan, Inter, Juventus, Napoli e Roma non ha prodotto benefici patrimoniali. Tutt’altro.

Il valore totale degli asset della Serie A al termine della stagione sportiva 2012-2013 è ammontato a 3.523 milioni di euro, in aumento dell’1,5% rispetto alla stagione sportiva precedente. È fortemente calato il peso dei  diritti pluriennali alle prestazioni dei calciatori della Serie A (da 1.199 a 1.106 milioni, -7,7%).

Il patrimonio netto aggregato delle società continua a migliorare (+2,0% rispetto al 2011-2012), portandosi a un livello di 293 milioni, anche se ancora lontano dai valori registrati nel 2008-2009 (465 milioni) e nel 2009-2010 (406 milioni).

Continuano a crescere invece i debiti della Serie A (+1,9% rispetto alla stagione sportiva 2011-2012) raggiungendo quota 2.947 milioni, pari all’84% del totale delle passività. Di questi i debiti finanziari pesano per il 32%.

Dando uno sguardo al mercato dei trasferimenti dei giocatori, nel corso delle stagioni sportive  2011-2012 e 2012-2013 i club di Serie A hanno portato a termine 2.533 trasferimenti di giocatori, circa il 46% del totale delle cinque maggiori leghe europee (5.491). Il 51% è stato rappresentato da prestiti, il 34% a titolo oneroso, mentre il rimanente 15% è costituito dai trasferimenti a parametro zero. Insomma, la parola d’ordine è «Bambole, non c’è un euro!».

Wall & Street

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