Il decreto lavoro disegnato dal ministro Giuliano Poletti è diventato legge da un paio di settimane. Wall & Street ve ne avevano già parlato durante il suo tormentato iter parlamentare, ma – ora che dalle parole si è passati ai fatti – le perplessità sembrano esser sempre più condivise. Tanto più che nel primo trimestre del 2014 la disoccupazione ha segnato un nuovo record storico (quella giovanile è al 46%).

Qualche giorno fa si è espresso criticamente anche l’ad di UniCredit, Federico Ghizzoni, sottolineando che «il decreto aiuta un po’ ma non siamo ancora ai livelli degli altri Paesi, ci sono governi che mi chiedono di assumere giovani nei
loro Paesi a condizioni alle quali è difficile dire di no». Le differenze con gli altri Paesi, ha spiegato, riguardano i temi della «mobilità in entrata e in uscita e in certi casi anche di incentivi fiscali estremamente interessanti nei primi anni».

Ecco perché Wall & Street hanno voluto riparlarne con Roberto Lombardi, amministratore delegato di Lacome Job Service, società che opera nell’ambito dell’amministrazione del personale, consulente della Cna e docente universitario.

Dottor Lombardi, il decreto Lavoro del ministro Poletti dopo i passaggi a Camera e Senato sembra molto depotenziato. Lei cosa ne pensa?

«Il compromesso politico trovato rischia di ridurre gli effetti del decreto cosi come era stato impostato in partenza ripercorrendo un po’ le sorti di quello che era avvenuto per la Riforma Fornero. Prendiamo ad esempio il contratto a tempo determinato che vede introdotte delle sanzioni per le aziende che superano il limite del 20% di contratti a termine sul totale dell’organico a fronte della conversione automatica del contratto a tempo indeterminato. Una soluzione a metà strada che complica l’utilizzo di questa tipologia di contratto da parte delle aziende che al contrario chiedono certezze. Inoltre dobbiamo tener conto che tale soglia del 20% risulta inferiore in numerosi contratti collettivi. Insomma il tutto potrebbe generare numerosi ricorsi e contenziosi del lavoro».

È giusto lasciare la formazione professionale alle Regioni? I privati cosa possono fare?

«Questo della formazione è il nodo cruciale ed in particolare quello della formazione pubblica che come dimostrato in passato è risultata essere poco efficace e poco corrispondente alle vere esigenze formative delle imprese. Non parliamo poi delle complicazioni operative che ha generato. Quindi assolutamente privilegiare la formazione interna all’azienda responsabilizzando maggiormente ad esempio le associazioni datoriali nell’organizzare corsi per apprendisti obbligatori che risulterebbero maggiormente finalizzati alle reali esigenze delle imprese considerando il specifico settore merceologico e il contesto territoriale di riferimento».

Cosa pensa della proposta di Silvio Berlusconi di detassare per 5 anni sul fronte previdenziale e assistenziale le assunzioni di disoccupati di lungo periodo, cassintegrati e inoccupati in modo da dare una speranza anche a chi ha 40-50 anni e rischia di uscire dal mondo del lavoro in maniera definitiva?

«Mi sembra una buona proposta che può agevolare l’ingresso o il reimpiego nel mondo del lavoro delle fasce di lavoratori oggi più colpite dalla crisi cioè i giovani ed gli over 40 che hanno perso la loro occupazione. Certo l’occupazione non si crea con semplici sgravi contributivi ma con la crescita in ogni modo la proposta va nella direzione giusta. Sarebbe inoltre opportuno rimettere mano alla questione delle agevolazioni andando a semplificare il quadro oggi molto complesso di leggi che regolano questa materia rendendo più fruibile il tutto ad operatori ed imprenditori».

Ogni giorno Wall & Street toccano con mano la disperazione di lavoratori che da anni non riescono a ricollocarsi professionalmente dopo aver perso il loro ultimo impiego. Che consiglio darebbe loro?

«Intanto un ipotesi da prendere in considerazione potrebbe essere quella di mettersi in gioco avviando una propria attività autonoma partendo su esperienze professionali acquisite nel corso della carriera professionale oppure, perché no, trasformando quello che poteva essere un hobby, una passione in un vero e proprio lavoro. Inoltre credo sia importante non rimanere isolati, cercare di fare rete, vedere gente, trovare punti di incontro di approfondimento professionale, rimanere insomma aggiornati sul mondo che ti circonda».

Wall & Street

 

 

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