Il boom dei droni minaccia la nostra privacy
Le ricerche nel settore difesa ci hanno regalato invenzioni che hanno cambiato la nostra vita: Internet (nato come rete per lo scambio dati tra una base e un’altra), il cellulare (evoluzione del telefono da campo) e le fibre sintetiche ultra-traspiranti del nostro abbigliamento sportivo (nate per produrre divise adatte a qualsiasi clima). Il prossimo gadget potrebbero essere i droni, cioè gli aerei senza pilota nati per sorvegliare (ed eventualmente bombardare) una zona di guerra senza mettere a rischio vite umane.
Secondo Assorpas, l’associazione di operatori e costruttori del settore, volano trai 400 e i 500 aerei senza pilota sul cielo italiano e, a detta della società di ricerca americana Asd Reports, entro il 2021 il giro di affari globale dovrebbe raggiungere quota 130 miliardi di dollari (7 miliardi di dollari nel 2012). Una crescita esponenziale che è destinata a cambiare le nostre vite. Non necessariamente in meglio. L’utilizzo «civile»più comune per i droni è il campo della security: sono infatti utilizzati per monitorare un’area (una fabbrica, la propria abitazione, un terreno agricolo, ecc.) grazie alla possibilità di applicare una microcamera al velivolo. Già oggi con 50 euro è possibile acquistare un modellino su cui applicare una telecamera e cominciare a giocare a James Bond. E che fine farà la nostra privacy (messa già a rischio dai telefonini che rendono nota la nostra posizione in ogni momento) se chiunque può spiarci?
Ecco perché a fine aprile l’Enac, l’ente nazionale per l’aviazione civile, ha emanato un regolamento che dovrebbe tutelare tutti i cittadini. Innanzitutto si distingue tra «aeromodelli» (destinati ad attività ricreative e sportive) e «Aeromobili a pilotaggio remoto» (Apr) destinati a scopi professionali. Per i droni sotto i 25 chili all’operatore viene richiesta solo un’autocertificazione: in pratica attesta di possedere i requisiti richiesti dall’Enac. Per i velivoli sopra i 25 chili, invece, deve essere lo stesso ente a rilasciare un’autorizzazione e il permesso di volo ha una validità di tre anni. Per ottenerla il richiedente deve presentare domanda all’Enac fornendo la documentazione necessaria e deve poi svolgere una pratica di volo in aree non popolate segnalate dall’ente stesso. Insomma, bisogna conseguire una sorta di «patentino» che di per sé attesta che non si metterà a rischio la pubblica incolumità. È inoltre obbligatoria l’assicurazione di responsabilità civile per il velivolo. Per quanto riguarda la privacy, invece, restano zone d’ombra che le certificazioni non contribuiscono a rischiarare del tutto. Ecco perché ne abbiamo parlato con Gualtiero Dragotti, partner di DLA Piper nel dipartimento IPT (Intellectual Property and Technology).
«È ovvio che l’iperregolamentazione avrebbe nuociuto a un settore in forte espansione e quindi richiedere il brevetto di pilota a chi guida un drone sarebbe stato eccessivo. Ma è altrettanto chiaro che definire una qualifica per gli utilizzatori di questi mezzi è altra cosa rispetto alla gestione di apparecchi potenzialmente pericolosi. L’autocertificazione così come la possibilità di creare istituti di certificazione aprono la porta a eventuali truffe», spiega Dragotti.
Il problema principale, però, è la tutela della privacy. «Appena è iniziata la vendita dei droni il principale utilizzo che ne è stato fatto, più o meno in tutto il mondo, è stato quello di spiare il vicino. Non a caso, in alcuni casi è previsto che i software che inviano immagini rendano irriconoscibili in automatico i volti delle persone riprese», aggiunge. Inoltre, «vi sono droni che forniscono le coordinate Gps delle aree sorvolate che unite alle immagini rende doppiamente indifesa la privacy dei cittadini», evidenzia Dragotti auspicando che una normativa in proposito venga prontamente varata.
Attualmente i droni sono utilizzati per scopi investigativi dalle Forze Armate e dagli organismi di pubblica sicurezza (Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza, ecc.). Questi ultimi li usano soprattutto per abbassare i costi di pattugliamento o per evitare l’uso di elicotteri per effettuare riprese aeree (ad esempio, in inchieste riguardanti abusi edilizi). Ultimi ma non meno importanti le società di vigilanza se ne servono per tutelare ulteriormente la clientela. È chiaro che la loro convenienza potrebbe ben presto moltiplicare il loro utilizzo nell’ambito di alcune indagini giudiziarie. La privacy andrebbe così definitivamente a farsi benedire.
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