Il Tfr in busta paga è solo un «gioco delle tre carte» che il governo Renzi sta tentando per cercare di convincere gli italiani a riprendere a consumare. Ma, senza certezze sul futuro, l’unico risultato di questa proposta contenuta nella Legge di Stabilità è solo un danno incalcolabile alla previdenza integrativa che non sarà compensato da una maggiore propensione agli acquisti. È quanto spiega Marino D’Angelo, segretario generale del Snfia (sindacato nazionale dei funzionari delle imprese assicurative),  fortemente critico sul Jobs Act: l’eliminazione dell’articolo 18 (la possibilità di licenziare senza giusta causa) è una mossa «strumentale» perché la flessibilità in uscita è già garantita dalle attuali leggi. Analogamente, la possibilità di demansionare i lavoratori, cioè di ricollocarli a funzioni di qualifica e salario inferiori a seconda delle esigenze produttive, «uccide ogni certezza professionale». Si tratta di una realtà che D’Angelo conosce bene perché le imprese di assicurazione, rappresentate dall’Ania, in sede di rinnovo contrattuale dei dipendenti stanno cercando di spingere su questo tasto.

Segretario D’Angelo, la proposta di inserire il Tfr in busta paga quanto può pesare sul comparto assicurativo? Può danneggiare la previdenza complementare e mettere a rischio posti di lavoro?

«È una vecchia storia, tra l’altro iniziata negli anni ’90, proprio in ambienti sindacali con una proposta di Trentin, poi ripresa da Cofferati e che ancora oggi incredibilmente trova una sponda nella Fiom di Landini. Va premessa la considerazione che la ricetta per una ripresa dei consumi, e quindi del mercato interno, deve prevedere non solo più possibilità di spesa per i lavoratori ma anche una  sufficiente garanzia di poter spendere con tranquillità. L’incertezza del futuro non può che spingere al risparmio e quindi al blocco della spesa. Che a sua volta, alimentando la crisi, genera incertezza. Quindi immettere, tra l’altro con il gioco delle tre carte, liquidità nelle tasche degli italiani non basterà a convincerli a spendere quelle somme che mettevano da parte per tentare di proteggersi dalla sciagura dichiarata di un welfare pensionistico ed assistenziale che getta fosche ombre sulla vecchiaia. È facile prevedere che gli unici effetti certi del provvedimento potranno essere, da un lato, quello di compromettere seriamente un settore di business che attualmente vale in Italia circa 116 miliardi e una raccolta annua di circa 12 miliardi, con buona pace di vent’anni di discorsi sulla necessità del secondo e terzo pilastro pensionistico e un’inevitabile ulteriore aggressione ai livelli occupazionali. Dall’altro,  quello di determinare un’ulteriore parcellizzazione del risparmio, con un evidente punto interrogativo sulla tipologia di reimpiego delle somme. Meglio sarebbe lasciare il Tfr dove sta e invece ragionare sulla possibilità di indirizzare l’impiego dei fondi pensione in maniera più incisiva e coordinata in forme di investimento finanziario  a favore dei settori produttivi ad alto valore aggiunto di ricerca ed innovazione».

La proposta di modifica dello Statuto dei Lavoratori contenuta nel Jobs Act con la possibilità di licenziamento senza giusta causa come potrebbe cambiare la contrattazione?

«Se ci riferiamo alla questione dell’articolo 18 l’incidenza è praticamente nulla, avendo la riforma Fornero già ampiamente soddisfatto il bisogno delle imprese, vero o presunto che sia, della flessibilità in uscita individuale. L’indice Eprc 2013 dell’Ocse, che misura il grado di protezione dei lavoratori con contratto a tempo indeterminato, dice chiaramente che il licenziamento è più facile in Italia (2.79) che in Germania (2,98) o in Francia (2,82). E questo a ulteriore dimostrazione che la questione posta dal governo è meramente ideologica e strumentale».

E, soprattutto, l’ok al demansionamento contenuto nel ddl delega non apre la porta alla fungibilità richiesta dall’Ania proprio in sede di rinnovo contrattuale?

«Pensare che si potrà giungere a riconoscere la possibilità di riportare un direttore alla mansione di usciere con conseguente abbassamento dello stipendio è quantomeno inquietante. Una ricetta che uccide ogni certezza professionale e personale e trasforma la nostra vita in una tela di Penelope. Ci domandiamo come si possa coniugare una proposta del genere con l’affermazione del governo che ogni riforma sarà inutile se non accompagnata da una ripresa di fiducia da parte degli italiani».

Nella relazione all’assemblea annuale Ania il presidente Minucci ha rilevato che «appare difficile che rimangano spazi per la contrattazione collettiva». La trattativa partirà in salita?

«Certamente sì. E la salita sarà tanto più ripida quanto più le imprese si sottrarranno da un confronto leale e responsabile con i lavoratori sulle linee di sviluppo industriale e di mercato da mettere in campo nei prossimi anni. Il prossimo contratto nazionale di lavoro assicurativo dovrà essere un contratto di svolta. Le questioni sul tappeto sono tante, tutte di notevole rilievo e soprattutto non più rinviabili. Ania chiede fungibilità delle mansioni, flessibilità degli orari, annullamento degli automatismi salariali.  Le organizzazioni sindacali un allargamento dell’area contrattuale a tutte le forme del lavoro assicurativo,  tale da riconoscere pari dignità e opportunità a tutti i lavoratori del settore come condizione di rilancio della produttività, un allargamento dell’area welfare, regole del gioco sui comportamenti aziendali condivise, un riconoscimento economico per i dipendenti del settore che ne riconosca concretamente il merito, considerata la brillante performance del settore, che si presenta nel 2013 con un utile complessivo di 5,2 miliardi e un Roe del 9,7 %».

Nel futuro delle assicurazioni ci saranno più Internet e sportelli bancari e meno reti?

«Io sto ai fatti. E i fatti ci dicono che la distribuzione Internet e telefonica pesa per il 4,8% del mercato, che l’esperienza bancassicurazione nei rami Danni è stata un flop e che ci sono segnali di stanchezza anche nei rami Vita nei quali le Poste stanno emergendo con decisione. Certamente il futuro, che è già presente, sarà all’insegna di una multicanalità molto più avanzata di quella attuale grazie alla continua automazione dei prodotti assicurativi, che apre il gioco a nuovi player a cominciare dalle grandi catene di distribuzione alimentare. E questa la dice lunga sulla necessità di ridefinizione dell’area contrattuale del contratto nazionale assicurativo».

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