Patent Box, un’occasione da non perdere
È arrivato da poco in Italia il Patent Box, un regime fiscale ad hoc per favorire il rientro in Italia di marchi e progetti innovativi. L’agevolazione consente di abbattere tra il 30-50% l’imponibile tassato per lo sfruttamento di brevetti, marchi e design. Giovanni Buttaro, legale dello studio Mazzocchi & Associati, ci introduce in maniera semplice e chiara a questo nuovo regime del quale beneficiano coloro che svolgono attività di ricerca e sviluppo e che producono redditi derivanti dallo sfruttamento commerciale dei beni immateriali, ovvero dei cosiddetti intangibles. In realtà, si tratta di un’innovazione introdotta con la Stabilità 2015 e consente una parziale detassazione del reddito derivante dall’utilizzo di opere dell’ingegno, di software protetti, di brevetti industriali, di marchi d’impresa registrati o in corso di registrazione, di disegni e modelli, nonché di processi, formule e informazioni relative ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico, giuridicamente tutelabili.
«Il Patent Box italiano prende ispirazione dalle linee guida stabilite dall’Ocse le quali condizionano l’accesso al regime al rispetto del cosiddetto nexus approach, cioè all’esercizio di un’effettiva attività di ricerca e sviluppo da parte dell’impresa e al collegamento diretto tra tali spese e i benefici fiscali così ottenibili. Come detto, si tratta di una parziale detassazione e che prevede, per chi utilizza in maniera diretta la proprietà intellettuale, un’esenzione del reddito nella misura del 30% per l’anno 2015, del 40% per il 2016 e del 50% dal 2017 in poi», spiega Buttaro aggiungendo che «è un regime opzionale, della durata di cinque anni ed una volta esercitato è irrevocabile: possono accedervi tutti coloro i quali siano titolari di reddito d’impresa, con esclusione dei soggetti sottoposti al fallimento, liquidazione coatta o amministrazione straordinaria». Come previsto dalla Stabilità 2015 la quota di reddito agevolabile è determinata sulla base del rapporto tra costi di ricerca e sviluppo sostenuti per il mantenimento, l’accrescimento o lo sviluppo del bene immateriale, incrementati del 30% dei costi sostenuti per l’acquisizione di beni o la stipula di contratti di ricerca con società del gruppo, e i costi complessivi rilevanti sostenuti per produrre il bene immateriale stesso. Il coefficiente così ottenuto è moltiplicato per i redditi derivanti dal bene immateriale.
«Inoltre sono totalmente esenti da imposte le plusvalenze realizzate in seguito alla cessione della proprietà industriale purché, entro il secondo esercizio successivo, vi sia il reimpiego di almeno il 90% del corrispettivo nella manutenzione o nello sviluppo di altri beni immateriali della medesima tipologia. Particolare attenzione è stata posta sull’impiego dei marchi e del know how al fine di rispettare quanto sancito a livello Ocse», aggiunge. Inizialmente l’atteggiamento dell’Italia era stato quello di favorire al massimo il rientro e la permanenza dei marchi nella Penisola, tuttavia la Stabilità 2016 ha creato qualche difficoltà interpretativa, introducendo il principio di complementarietà che potrebbe limitare l’inclusione nell’agevolazione per i marchi commerciali e per il know how.
«Ancora incerta è la questione legata all’ipotesi in cui l’intangible generi una perdita e quindi si attende un intervento normativo che chiarisca il caso, traendo magari spunto dal comportamento tenuto da altri Paesi in cui già vige la patent box, che consentono un riporto in avanti di tale perdite e la loro successiva deducibilità dai soli redditi che godono dell’agevolazione», conclude Buttaro sottolineando che «come accade in altri Stati, potrebbe essere previsto un meccanismo di recupero di tale beneficio quando l’impresa sarà in grado, nuovamente, di produrre dei redditi rientranti nel regime della patent box».
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