Ha suscitato polemiche la decisione del governo di prorogare, attraverso un emendamento al decreto Pa, fino al 30 giugno 2024 lo scudo che impedisce la contestazione del danno erariale per colpa grave e che contestualmente esclude la Corte dei Conti dal controllo simultaneo delle operazioni del Pnrr e del Piano Nazionale Complementare. Non si tratta di una questione politica. Anche i giuristi sono divisi. Il presidente emerito della Consulta, Sabino Cassese, sul Giornale ha specificato che «la Costituzione dice che la Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del governo e quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato e che riferisce direttamente alle Camere sul risultato del riscontro eseguito; non parla di controllo concomitante e non prevede un controllo preventivo a tappeto, ma solo sugli atti del governo». Di opinione diametralmente opposta il procuratore nazionale Antimafia, Giovanni Melillo, che ha sottolineato come «una richiesta di soppressione dei controlli esterni apparirebbe più forte e credibile se accompagnata dalla ricostruzione di un’efficiente macchina dei controlli interni alla pubblica amministrazione». Insomma Melillo, pur rimarcando la necessità di snellimenti procedurali, ha evidenziato una mancanza di affidabilità della Pa che chiama in gioco il ruolo dei magistrati.

A questo proposito, pubblichiamo una lettera del dott. Vittorio Raeli, procuratore della Corte dei Conti presso la Sezione Basilicata.

«Caro Direttore,

vorrei chiedere ospitalità sulle colonne de “ Il Giornale”, perché mi sento chiamato in causa, come magistrato che esercita funzioni giurisdizionali, dall’articolo intitolato “La sinistra scopre gli eroi della Corte dei Conti. Ma le spese sono più dei soldi che recuperano” del 30 maggio u.s..

 

Nell’articolo di stampa si sostiene che la Corte dei Conti costa allo Stato 80 milioni di euro di più rispetto a quanto riesce a recuperare dalle tasche dei dipendenti ed amministratori pubblici condannati: 175 milioni di euro, a tanto ammonterebbe il costo della Corte dei conti, a fronte di poco più di 95 mln di euro recuperati.

In disparte il fatto che l’importo dei recuperi a livello nazionale, a cui si fa riferimento nell’articolo citato, andrebbe verificato, in quanto il dato nazionale non è più riportato nella relazione del Procuratore generale presentata per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2023, resta il fatto che soltanto una “visione aziendalistica” della giustizia contabile, in termini di costi/benefici, può  indurre ad una valutazione negativa quale quella contenuta nell’articolo citato, ma ciò non è.  Sebbene nata per finalità risarcitorie, infatti,  l’azione di responsabilità erariale che è intestata alle procure regionali e le sentenze delle sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei Conti perseguono anche l’obiettivo di garantire il buon andamento della PA, che è tutelato dall’articolo 97 della Costituzione, dispiegando una efficacia preventiva di dissuasione di certi comportamenti in contrasto con la legalità finanziaria. È questa la mission istituzionale della Corte dei conti e non altra. Spero, quindi, che il dibattito in corso nel Paese sulle ragioni sottostanti alla necessità di avere una magistratura contabile efficiente ed indipendente sia riportato sul giusto binario del ruolo che la Costituzione ha assegnato alla Corte dei Conti».

Gian Maria De Francesco

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