Pubblichiamo un articolo di Elisa Rovesta, analista di mode e costumi, sulla nuova figura di Chief happiness officer, il manager della felicità. Dopo aver svolto studi giuridici e in comunicazione, ha acquisito esperienza manageriale presso un’importante realtà aziendale. Ha pubblicato due libri «Umanistili e una ballerina sulla luna» e «Fatti di umani».

«In molti ancora non lo sanno, altri lo hanno appreso da poco e altri ancora lo scopriranno ora, ma bisogna fare attenzione perché tra le vie delle nostre città si aggira, avvolta dalla nebbia, una nuova figura manageriale che, zitta zitta, e senza dare troppo nell’occhio, si sta affacciando nel panorama aziendale.

La questione è davvero seria, si tratta di una figura che racchiude in sé la simpatica e dolce donnina interpretata da Robin Williams nel film Mrs Doubtfire e IT il pagliaccio assassino inventato da Stephen King. La figura manageriale in questione ha il cuore buono, non ci sono dubbi, e quindi di IT ha conservato solo la risata. Inquieta di meno, ma te lo puoi trovare ovunque tra un androne e un ufficio vendite. È una figura che arriva dagli Stati Uniti, e da dove sennò? E proprio come IT sorride sempre, ma le somiglianze finiscono qui eh.

Approdato senza grandi clamori in alcune imprese italiane, ha già un nome che sembra il marchio di fabbrica perfetto per essere in auge tra qualche mese, forse meno: «Il manager della felicità». Con una presentazione così, come minimo ci salverà tutti!

Nello specifico questa categoria manageriale rappresenta a tutti gli effetti una professione, quindi non scherziamo, e ha il compito di individuare strategie ottimali per creare felicità all’interno dell’ambiente di lavoro perché si sa, se si è felici si lavora meglio, ça va sans dire. E chi meglio di lui può essere d’aiuto? Uno che viene dagli USA, poi…

Va da sé che il manager in questione è preparato, mica si improvvisa; infatti, prima di diventare manager della felicità, deve seguire specifici corsi, master, specializzazioni. Per i guru improvvisati sarà dura darla a bere. Il manager della felicità è titolato per poter diffondere gioia e amore in ogni singolo ufficio aziendale, creerà gioia e armonia tra i gruppetti alla macchina del caffè e la reception, farà sbocciare i fiorellini tra la direzione e i magazzini, anche nella pubblica amministrazione, nelle SPA, tra gli hub e, perché no, anche alla Nasa, se già non è al lavoro pure a Cape Canaveral.

Una volta apprese tutte le competenze, il manager in questione inizia la sua opera missionaria per portare la tanto agognata felicità a chiunque. Che ne so, la mattina porta negli uffici i cornetti caldi, riempie le stanze di palloncini e oggetti colorati, le persone sono contente solo per il fatto di sapere che lui esiste, e se anche non lo sono, felici lo devono essere come da aspettativa, sennò son problemi.

D’altronde, dopo aver esaurito qualsiasi dibattito, trattato e studio sulle Soft Skills, dopo aver cercato di portare avanti tutti i tipi di Team Building possibili e immaginabili, compresi quelli che prevedevano l’attraversamento del ponte tibetano, figurarsi se il manager della felicità non funziona. Caspita! Deve funzionare! O no?

Quanti ritrovati, quanti tentativi, quante formule abbiamo visto negli ultimi decenni. Tutte cose buone, ci mancherebbe, ma così magari si è persa di vista la piramide di Maslow, ovvero la teoria di un certo signor Maslow, che di professione faceva lo psicologo e che nel 1954 si è preso la briga di indagare i bisogni delle persone individuando una gerarchia fondamentale tra bisogni di sopravvivenza e necessità immateriali. Il manager della felicità sovverte tutto, mette i palloncini sui muri, sorride, si traveste da Mrs Doubtfire, se necessario, e nel farlo anche lui deve essere contento, altrimenti che felicità è? Speriamo funzioni».

Elisa Rovesta

Tag: , , , , , , , , , , , ,