La gerarchia è una struttura attraverso la quale noi creiamo un ordine di importanza. Senza questa struttura sarebbe il caos, perché come si governano mille elementi se non si ha un ordine di importanza? Marina Capizzi, co-founder di Primate Consulting, esperta di organizzazione aziendale e autrice di «Non morire di gerarchia» si è posta questi interrogativi e noi l’abbiamo ospitata nell’ultima puntata di Wall & Street Live per discutere proprio di questi argomenti. «Il problema – afferma – è che la gerarchia costituisce la struttura portante delle nostre organizzazioni, è un’eredità, così come noi la conosciamo e la viviamo tutti i giorni, è una struttura che abbiamo ereditato dal passato, da un lungo passato, perché noi abbiamo iniziato a organizzarci attraverso la gerarchia più di due milioni di anni fa».

«La gerarchia rende più prevedibili i nostri comportamenti e questo ci ha aiutato a stare insieme, perché noi non riusciamo a stare insieme se non abbiamo una buona percezione di prevedibilità», sottolinea Capizzi. «Possiamo fare tutti i corsi di leadership che vogliamo, possiamo fare tutti i team building che vogliamo, ma finché prevale quello stato neurologico, cioè quella gerarchia attacco-fuga che è quella prevalente nelle aziende, in realtà il capo comanda e gli altri eseguono quando si tratta di dossier importanti». Cosa vuol dire? «Che le decisioni nelle nostre organizzazioni le prendono soprattutto i capi e a noi questo sembra normalissimo», osserva.

Molti problemi che nascono alla base della piramide, cioè dove le persone incontrano i clienti, gli utenti, i cittadini, sono poco noti a chi si trova al vertice. «Siccome spesso il leader non è preparato, non perché non sia bravo, ma perché non ha esperienza diretta di quei problemi, ha bisogno di guardare dati su dati, ha bisogno di organizzare riunioni, il capo fa da collo di bottiglia e tutto rallenta ma questo è un effetto di un processo decisionale antico che non risponde più alle esigenze del giorno d’oggi», precisa Capizzi. «Questo non significa che i capi non debbano più prendere decisioni, ma un potere decisionale va distribuito in modo che aumenti salendo nei livelli organizzativi», aggiunge ricordando che «non è possibile che chi ha davanti un cliente in un supermercato, in una filiale, in un call center, non abbia potere decisionale e debba solo eseguire decisioni che vengono prese altrove». L’evoluzione della gerarchia sarà la sfida delle organizzazioni dei prossimi anni, perché «occorrerà trovare altre modalità di processo decisionale che distribuiscano diversamente l’autonomia

Gli studi neurologici, in particolare quelli di Stephen Porges, che ha elaborato la teoria polivagale (applicata per la prima volta da Capizzi alle organizzazioni) «dimostrano che noi umani abbiamo fame di connessione: siamo mossi tanto dall’imperativo di sopravvivenza quanto dall’imperativo biologico di connessione, noi abbiamo bisogno di stare insieme, di metterci insieme, di costruire la nostra sicurezza insieme». Le gerarchie che strutturano le nostre organizzazioni sono tuttora espressione ancora soprattutto dell’imperativo biologico di difesa. Infatti, conclude l’autrice, «nelle aziende, nelle organizzazioni tutto è frazionato, tutti difendono il proprio orticello ma nessun ruolo, nessuna funzione, nessuna area di un’organizzazione è in grado di generare da sola quel prodotto, quel servizio, quella risposta per la quale l’organizzazione esiste». E senza quella interconnessione non si è in grado di incontrare le necessità della domanda.

Gian Maria De Francesco

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