Il governo Monti ha lasciato un’Italia in crisi profonda e con la disoccupazione ai massimi storici, sopratutto tra i giovani. Wall & Street ha già cercato una risposta all’emergenza lavoro con la guida pensata per aiutare a trovare un impiego i ragazzi che 18 anni hanno sostenuto gli esami di Maturità, i giovani laureati che a 25 anni si avvicinano per la prima volta alle imprese, e i padri di famiglia che a 50 anni hanno perso lo stipendio, lasciati sul marciapiede dalla crisi. L’estrema scarsità di offerte di lavoro (anche a tempo determinato) ha quindi reso le pochissime occasioni che si presentano quantomai preziose. Ecco perché dopo aver affrontato quali sono lauree che offrono maggiori possibilità di ottenere un impiego ed esserci soffermati sui dieci lavori  più ricercati dalle aziende italianeaffrontiamo qui il decisivo momento del colloquio di lavoro. E ci facciamo raccontare da Michele MannellaDirettore risorse umane di Sara Assicurazioni, quali sono i trucchi per fare buona impressione su chi seleziona i candidati e che cosa dire per aumentare le possibilità di farsi assumere.

 

Un’azienda come seleziona il personale da assumere?

«L’approccio è differenziato in termini di metodo e strumenti a seconda della tipologia di ricerca.  Per ruoli  senior, ad esempio si privilegeranno colloqui individuali e strumenti orientati  ad esaminare l’empatia  emotiva (in gergo tecnico soft skills) e  e le competenze tecniche richieste dalla posizione da ricoprire.  Se invece, la necessità è di assumere neolaureati senza esperienza  specifica, si privilegiano strumenti che siano in grado di valutare il potenziale dei candidati, per esempio attraverso test di selezione con prove pratiche (assessment center».

 

Quali sono le caratteristiche che deve avere il candidato ideale?

«E’ difficile identificare caratteristiche ideali  in senso assoluto, un candidato diventa interessante quando possiede le caratteristiche ricercate».

 

Che cosa conta maggiormente il curriculum o il colloquio?

«Sono due strumenti con finalità differenti, entrambi necessari. Vengono usati in momenti diversi del processo di selezione. Il curriculum consente di essere individuati, il colloquio consente di essere scelti!»

 

Come e che cosa consiglia di scrivere nel curriculum?

«I contenuti sono importanti e sicuramente denotano il peso della candidatura. Tuttavia credo sia altrettanto importante la “forma” . In genere è utile scrivere un curriculum  cercando di arrivare al proprio interlocutore in maniera chiara e veloce, consentendo di inquadrare le informazioni salienti in pochi minuti. Una, anche breve ma, “personalizzata” lettera di presentazione, magari che inviti, anche  in maniera spiritosa, a non “archiviare” senza dare la possibilità di un confronto diretto è certamente utile a far individuare, tra i tanti, il proprio curriculum vitae».

 

Il candidato quale messaggio deve mandare per bucare l’attenzione dell’ufficio del personale?

«Le aziende come quelle di servizi nella quale opero sono interessate ad assumere persone, naturalmente, competenti e aperte al cambiamento, sempre  più orientate ad un lavoro di squadra e all’utilizzo delle oramai normali tecnologie 2.0, che possano dare un contributo personale all’azienda. L’indicare, in particolare per i “neo” , attività, all’apparenza non significative per l’azienda cui ci stiamo rivolgendo,  potrebbe essere invece un elemento distintivo:  aver praticato sport di squadra o ad alti livelli agonistici, aver allenato squadre, anche negli oratori,  aver fatto lavoretti durante il periodo universitario, essere impegnati in attività associative  onlus ecc…»

 

Quali sono quindi le 4 regole d’oro per farsi assumere?

«Non credo ci siano regole fisse. Consiglio sempre di essere se stessi: l’autenticità paga sempre. Prepararsi con cura  al colloquio, considerando quanta fatica e curriculum abbiamo inviato per arrivarci!  Ad esempio andando a ricercare le informazioni, oramai sempre più  disponibili in rete,  sulla società e sul relativo  business,  denota attenzione e curiosità, elementi  utili al selezionatore  per redigere un accurato  profilo del candidato». 

 

Quali sono, invece, gli atteggiamenti da evitare?

«Direi di valorizzare sempre il rispetto reciproco. L’atteggiamento troppo ostentatamente sicuro, anche se si ha un ottimo curriculum e si è “certi del proprio valore”, liquidare le domande del selezionatore, senza aver riflettuto sul loro reale significato, non è certamente il miglior approccio».

 

Che trattamento deve aspettarsi uno stagista?

«Una buona formazione qualificante, in modo da acquisire competenze spendibili sul mercato. Tradotto:  necessità di doversi adattare a svolgere attività anche marginali o meramente operative, quelle che i senior lasciano più volentieri a chi deve apprendere la gavetta. Un vecchio retaggio del passato che però, se vista in positivo e nel pieno rispetto delle persone, aiuta i giovani a comprendere il ruolo delle gerarchie, non riscontrabili spesso nel mondo a loro più vicino ma, con il quale bisogna necessariamente confrontarsi nelle aziende. Naturalmente il rispetto delle persone è oggetto della nostra massima attenzione come human research, evitando che le “montagne di fotocopie”  che, dovrebbero rappresentare la componente marginale di mera operatività,  per molti versi anche formativa, diventi di fatto il vero cuore del periodo di stage!».

 

Quanto sono penalizzate le donne rispetto ai maschi per la prospettiva della maternità?

«In società di medi grandi dimensioni che, sono quelle che conosco più da vicino, ritengo che sia ormai un qualcosa che appartenga al passato, l’alto grado di professionalità e competenze, l’ingaggio che hanno le giovani donne a parità di età con i loro colleghi uomini non fanno certo denotare limiti a livello di performance anzi. Come società, abbiamo un buon numero di giovani donne e madri  per le quali ad esempio abbiamo recentemente  varato, in accordo con il sindacato, un programma volontario di telelavoro ove l’organizzazione del lavoro lo permetta, dopo il periodo di maternità obbligatoria , si consente loro di lavorare da casa, dotandole di pc portatile e chiavetta internet, conciliando quindi le esigenze di maternità con quelle professionali di non sentirsi lasciate indietro. Sicuramente, delle differenze e delle diffidenze,  persistono specie nelle realtà lavorative di minori dimensioni, dove i numeri non consentano coperture dei ruoli con mobilità interna,  dove si intravedano i rischi di una possibile fonte di non efficienza e di perdita di know how, legata a periodi di mancata prestazione durante i quali è necessario ricorrere a figure professionali, magari da formare aumentando i relativi costi di gestione e/o i disservizi».

 

I livelli di produttività del Sistema Italia risultano insufficienti. A suo parere, qual è la causa principale?

«Non vorrei avventurarmi  su terreni viscidi e scivolosi ma, non aggiungo alcun contributo particolarmente innovativo ,nel sottolineare come,  l’ovvio valore del merito, viene spesso mortificato dalla necessità, altrettanto forte di garantire pari dignità economica a tutti i lavoratori presenti nelle aziende. Questo si traduce nelle aziende, specie di grandi dimensioni, nell’appiattimento dei ruoli e nella non riconoscibilità delle persone che, sicuramente continuano a far bene il proprio lavoro ma, non mettono in essere tutte le proprie qualità intrinseche che, invece, potrebbero fare la differenza e che, da sempre, contraddistinguono il guizzo e l’ingegno dei nostri professionisti ed operai …all’estero!».

 

Sul fronte delle riforme, cosa pensa della Riforma Fornero del mercato del lavoro? Quali pregi, quali rigidità e quali suggerimenti di modifica?

«In questi giorni il governo è alle prese con dei ritocchi a quanto messo in campo lo scorso anno. Rispetto al progetto iniziale di Riforma, sicuramente molto più audace, in particolare per quanto riguardava il mercato dell’uscita dal lavoro ed all’interessante programma di flex-security di matrice nord europea, il corpo normativo è stato limato e ritoccato dal parlamento, sulla spinta delle parti sociali, partorendo  il topolino che oramai tutti conosciamo. Per quanto riguarda l’ingresso nel mondo del lavoro, l’apprendistato, vero cavallo di battaglia per l’ingresso in azienda, non è riuscito a trovare nelle aziende, quei consensi che il legislatore si attendeva anche, probabilmente, per tutte le briglie ed i lacci posti a tutela dell’istituto che, di fatto ne impediscono la diffusione. In primis, perché si parla di contratto a tempo indeterminato e questo, già di per se, ha un forte potere evocativo e di diffidenza;  si poteva lasciare la formulazione che prevedeva la necessità di dover trasformare, una percentuale dei contratti, a tempo indeterminato come per i vecchi Contratti di Formazione Lavoro ….e poi la Formazione degli apprendisti… spesso affidata, per i settori nei quali non sono presenti enti di formazione bilaterali, alle Regioni con tutti i problemi, le differenze normative  tra regione e regione,  che si riversano sulle imprese che, si trovano a combattere con il bizantinismo della nostra burocrazia, lontana anni luce dalle imprese».

 

Può raccontare un progetto in tema di HR che avete lanciato o state lanciando e a cui tenete particolarmente?

«Uno dei  progetti da cui abbiamo raccolto riscontri molto positivi è stato quello relativo ad un piano di inserimento “finalizzato” di neolaureati ad alto potenziale. La selezione è stata condotta mediante assessment center, al fine di ottenere una valutazione del potenziale in riferimento ai ruoli ricercati.  Abbiamo programmato un inserimento suddiviso in tre momenti: 1) formazione intensiva per acquisire le competenze tecniche specifiche; 2) training on the job al fine di maturare le competenze operative; 3) individuazione di percorsi di sviluppo personalizzati  a sostegno di un programma di job rotation aziendale  sensibile alle esigenze organizzative di Sara».

 

Come riformulerebbe l’articolo 18?

«Si tratta certamente dell’articolo più conosciuto delle statuto dei lavoratori del 1970, baluardo delle tutele dei lavoratori che un lavoro  lo hanno….ed in aziende di grandi dimensioni! Per gli altri rimane un miraggio. Nella nuova stesura, la reintegrazione dovrebbe essere legata, sostanzialmente ai motivi discriminatori; quando si vorrebbe risolvere un rapporto di lavoro per motivi politici, sindacali, religiosi o di contrasti, comunque non legati ai normali rapporti sul mondo del lavoro, motivazioni per le quali è e rimane assolutamente legittima e necessaria. Per tutti gli altri casi di motivazione “economica o organizzativa”  la reintegrazione è sostituita da un equo e determinato indennizzo, presente peraltro nella nuova formulazione ma, l’individuazione o meno del motivo discriminatorio, viene comunque subordinato alla valutazione del giudice, riportando di fatto , l’istituto alla vecchia problematica della valutazione discrezionale, prescindendo dalla oggettività delle motivazione. Non vorrei esagerare, ma di fatto si rende indeterminabile, per anni, la reale chiusura del rapporto di lavoro con tutte le intuibili ripercussioni sull’organizzazione del lavoro».

Wall & Street

 

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