Ipocrisia tossica
Ho riflettuto su tre fatti, diversi per argomento ma accomunati dallo stesso fil rouge di ipocrisia. Un corso di giornalismo, l’incendio milanese di 16mila metri cubi di spazzatura e la notizia di una bimba piccola appena operata al cuore nelle Marche.
Prima regola: mistificare.
Al corso di aggiornamento professionale intitolato “Il nuovo piano vaccinale di prevenzione vaccinale”, organizzato dalla società di comunicazione scientifica Sics per l’Ordine dei giornalisti lombardo, è intervenuto il prof. Roberto Burioni. L’esercitazione scritta prevedeva la compilazione di un titolo (su due righe, più occhiello e catenaccio) a nostra scelta. Perciò, memore di una tragedia appena avvenuta, riporto sulle due righe secche: “Muore bambina di due anni, il giorno prima era stata vaccinata”. Occhiello: “Dramma in Puglia”. Nel catenaccio: “Non si può sapere se la causa del decesso sia stata la vaccinazione (ma nemmeno escluderlo): occorrono valutazioni accurate o studi”.
Al corso ho appreso che: il mio titolo è sbagliatissimo; contiene un giudizio che sarebbe “il giorno prima era stata vaccinata”. Pardon, quello è un fatto, no è un giudizio. Ps. sono sempre convinta che sia un fatto, in ogni caso quel fatto-diventato-giudizio non va precisato “perché infonde dubbi in chi legge“.
Capisco che, oggigiorno, avere o provocare dubbi, è peccato come dubitare dell’infallibilità papale.
Capisco che si deve mistificare la realtà quando questa non piace.
…poi mi è stata bocciata la spiegazione del titolo: “Non si fa nessuno studio!” (Neppure dopo la morte di una bambina a 24 ore dal vaccino?) “No, si deve sapere che un vaccino non fa morire nessuno”. Eppure tra gli studi disponibili vi sono risultati contrastanti sulle morti post vaccinazione. E poi quando vado dal medico con il male di testa lo specialista mi chiede cosa ho mangiato e quali medicine ho preso il giorno prima e se per caso muoio viene valutato ogni particolare. In genere, in caso di morte improvvisa, è pure prevista l’autopsia alla presenza di un perito di parte.
Capisco che con il mal di testa si fa, con le morti in genere idem. Solo con la morte, se avviene dopo un vaccino, non si fa.
Alla fine il prof Burioni ringrazia di questo titolo. Dice che gli sarà utile.
A me resta il dubbio che le tre cose che ho capito non facciano parte dell’etica del mestiere, che facciano a pugni con la mia coscienza.
Seconda regola: tranquillizzare sempre.
Il 14 ottobre è scoppiato un incendio in un deposito rifiuti alla periferia nord di Milano, zona Bovisasca-Quarto Oggiaro. Combinazione un paio di giorni prima, il deposito era stato considerato “non a norma” e poi (il nesso cronologico non equivale a nesso di causa-effetto) è bruciato tutto. Sedicimila metri cubi di spazzatura: plastica, metalli, cartone, rifiuti organici e speciali. Un rogo durato da domenica a giovedì mattina. E una puzza insopportabile di plastica affumicata ha invaso a ondate i quartieri per tutti i cinque giorni successivi.
Per documentarmi a riguardo, telefonando all’Arpa, ho usato un aggettivo non gradito: “Non chiamiamola nube tossica, perché si creano allarmismi inutili”, sono stata ripresa. Così ho saputo, per la prima volta, che una nube nera da materiali vari, anche plastici in fiamme, possa somigliare ad aria di montagna…
Certo che non è colpa dell’Arpa se l’aria è diventata puzzolente ma la difesa è stata schierata. (Ma perché poi la difesa? Per chi lavora Arpa?).
E non si può tuttavia affermare che respirare fumo denso (particelle di composizione in via di accertamento) dall’incendio non rappresenti un rischio (non oggi, non domani ma la salute non è fatta solo di oggi e domani).
E comunque. Dalle prime ore dal rogo i titoli di giornali e telegiornali erano rassicuranti: “Non vi sono pericoli per la salute, lo dichiara Arpa”. Arpa era certa di questo, anche se l’analisi dei filtri ha richiesto 72 ore, “perché dalle prime rilevazioni sono stati esclusi i pericoli”.
Dopo 72 ore si è parlato di “parziale alterazione della qualità dell’aria”. E la diossina? “A norma, l’OMS fissa delle soglie limite ma solo in caso di esposizione prolungata e non è questo il caso”. Gli idrocarburi aromatici? “Pari a quelli sempre presenti nell’atmosfera milanese”.
Ecco.
Ci si chiede perché, allora sia stato detto di tenere ben chiuse le finestre; di evitare di uscire di casa e, a chi può, di andarsene dalla città.
Terza regola: insistere fino alla persecuzione.
Una bambina piccola, in età da nido, ha subito una delicata operazione al cuore. Il decorso post operatorio è nella norma, di sicuro la convalescenza richiederà un certo tempo. Non sappiamo altro. Quel che si sa è che la Asl delle Marche, dove risiede la famiglia della piccola, ha intimato ai genitori di vaccinarla, pena l’esclusione dal nido e la multa. Leggete qui.
Dalla lettera dell’avvocato (sì un legale…) apprendiamo che i genitori “preferiscono rimandare le vaccinazioni in attesa che la bimba si riprenda del tutto”. Richiesta normale, ci si dovrebbe preoccupare se non ci fosse. Non siamo in presenza di alcuna epidemia e c’è l’effetto gregge, ci dicono. Dunque, perché tale fanatica fretta? Significa che i genitori hanno letto i bugiardini dei farmaci e pure il consenso informato, perciò sono consapevoli che solo loro, unicamente loro, possono decidere se e quando far vaccinare la loro figliola. Già, la Asl intima e minaccia ma non firma alcun consenso informato.
Il consenso informato è regolato da 11 leggi dello Stato italiano, senza di questo non si può procedere. Chi desidera approfondimenti, legga Ivan Cavicchi, qui.
Tre casi di ipocrisia: quanto tossiche giudicate voi.