Vi racconto una parte di me.

«Quando ero bambino mi piaceva trascorrere i pomeriggi nell’ufficio di mio padre. Al piano ammezzato del numero 33 di Piazza Aldo Moro (che per i baresi veraci è sempre rimasta Piazza Roma) . C’era una bella macchina per scrivere che la segretaria non utilizzava sempre e che, quando libera, potevo adoperare per le mie prime scorribande letterarie. In più, bastava mettere il naso fuori dalle finestre per respirare l’aria più pesante del centro della città. Vita, gente che si muoveva, negozi, la stazione, la fontana con gli stemmi delle province pugliesi (che erano ancora cinque), i negozi di Via Sparano, il sole che cercava di farsi largo tra gli alti palazzi, l’ottimismo  degli anni ’80, Corso Cavour sempre felicemente incasinata. L’odore del mare, no. In centro non arriva, non fidatevi dei romanzieri che abbondano di questo inebriante effluvio mischiato a quell’odore di focaccia che deborda dai panifici. Bari non è lirismo metropolitano, non è Napoli, è tutto il contrario: una meravigliosa enclave orientale (un po’ bizantina un po’ veneziana) in quel prolungamento europeo dell’Africa che è il Sud dell’Italia.

E poi, soprattutto, c’erano loro, i libri. Mio padre era il direttore dell’Agenzia Garzanti di Bari. Rete Due. Vendite a privati. In buona sostanza, tutto ciò che era Grandi Opere della Aldo Garzanti Editore Via Senato 25 Milano era sotto la sua responsabilità per Bari e Provincia, che voleva dire anche un po’ di Foggia e di Nord del Brindisino. Una pattuglia di collaboratori pronti a vendere Enciclopedia Europea  (il gioiello della Casa), la Storia della Letteratura Italiana (altrimenti nota come il Cecchi-Sapegno), la Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico (diretta da Ludovico Geymonat, torinese vagamente husserliano) e altre serie di volumi pregiati. I fortunati acquirenti non ricevevano in omaggio –  come usa oggidì – tablet patacca o stereo cinesi, bensì qualche strenna della Rete Uno. Vi ricordate le Garzantine? Chi non ne possiede una? Le hanno offerte in abbinamento come add-on anche il Giornale TV Sorrisi & Canzoni una decina di anni fa. Un concentrato di scienza per tutte le tasche. La Letteratura andava via come il pane: più di un bignami meno di un testo scolastico (i concetti giusti al posto giusto). Poi c’erano le monografie sui pittori che anche se uno non capisce nulla di Ingres, Monet, Goya o Picasso fanno tanto arredamento nella libreria buona del salotto.

E poi c’erano loro, la mia piccola gioia di bambino un po’ secchione: i libri. Quelli che puoi chiamare libri perché hanno il formato di un libro e il contenuto di un libro: classici, romanzi, saggi. Fiumi di parole che ti mettono in soggezione perché pensi che l’autore abbia vissuto più di te e gli basteranno due figure retoriche per aprirti un mondo. Poi, quando cresci, scopri che se disponi di una mediocre conoscenza della lingua, c’è sempre qualcuno che cascherà nel tuo trabocchetto. Beh, qualcosa da leggere si trovava sempre anche se non rappresentava certo il catalogo dei desiderata di un ragazzino curioso. Provate a leggere i classici Garzanti. Traduzioni che vanno oltre il comune sentire.  Ambizioni letterarie nella stessa prosa che di per sé dovrebbe essere un adattamento fedele dell’originale. Basti pensare a Il Rosso e il Nero di Stendhal affidato a Mario Lavagetto. Le punte di diamante italiane non erano da meno: Pasolini e Gadda non erano quello che oggi si definirebbe user friendly. Prendere in mano un testo della Garzanti significava accettare una sfida che si può rappresentare più o meno come quella che accetta il bambino della scuola elementare confrontandosi con la propria maestra. Il più delle volte soccomberà e, se non lo soccorrerà una buona dose di tenacia o di curiosità, finirà con il perdere qualsiasi entusiasmo.

Poi, certo, anche il burbero Livio Garzanti aveva ceduto (o lo avevano indotto a cedere) a qualche deriva commerciale. I gialli milanesi di Scerbanenco, i romanzi di Ian Fleming, i racconti presentati da Hitchcock, la fortuna di aver scoperto Truman Capote prima del successo di Audrey Hepburn. Fortunatamente sono una persona con un buon carattere e so accontentarmi (anche troppo a volte), però dentro di me pensavo che se Garzanti fosse stato più mainstream, avrei potuto leggere qualcosa di più digeribile come i romanzi della Mondadori o della Rizzoli che avevano in serbo sempre qualcosa per il grande pubblico. A quel tempo Mondadori per me era sinonimo di Topolino e di tutti i classici della Disney (Garzanti, invece, si divertiva a pubblicare fumetti della preistoria tipo Brick Bradford, una crudeltà, converrete con me), della spensierata leggerezza di Jerome Klapka Jerome con i suoi Tre uomini in barca. Ultimo ma non meno importante veniva Marcovaldo, il primo romanzo non-Garzanti che abbia letto, stampato per i tipi della EinaudiRizzoli, invece, pubblicava tutto Fantozzi e un sacco di letteratura umoristica. Fu un sollievo per me quando Garzanti acquisì l’ultimo Italo Calvino che portò con sé la trilogia sugli antenati e una letteratura ricercata ma potabile (ottimo epigono ne è Andrea De Carlo, non a caso prima con Mondadori e poi con Rizzoli).

Mio padre andò in pensione prima che tutto crollasse. Con l’avanzata delle nuove tecnologie le Grandi Opere divennero meno appetibili. Prima l’avvento dei CD-Rom poi quello di Internet hanno progressivamente reso meno necessario l’acquisto di un’enciclopedia. All’italiano medio basta comprare un computer da mettere in rete e illudersi che serva al bambino per studiare. Non è più il tempo delle rate sottoscritte perché “non voglio che mio figlio faccia il contadino come me”. Con la cessione delle Grandi Opere a Utet (poi gruppo De Agostini) finirono anche i Libri, venduti al gruppo Gems che fece un po’ di massa critica. Scoprii il trucco solo qualche anno più tardi, alla Scuola di Giornalismo della Luiss. Corso di gestione delle aziende editoriali. Centri di costo. Ci interessa solo sapere che la carta, la stampa, la distribuzione, il marketing non ci mangino via tutti i ricavi. E i libri? Gli autori? La letteratura? Si pubblica quello che può funzionare, che può vendere, non è beneficenza. Ecco, l’ho scoperto solo anni dopo. Finché è stato in vita, come autore letterario, Pasolini avrebbe dovuto ringraziare la gente come mio padre e i suoi collaboratori…»

E dopo questi prolegomeni a una futura biografia che voglia definirsi come di Gian Maria De Francesco (che però non è nessuno tranne Wall e perciò non scriverà mai una biografia), vi parliamo del caso di Borsa della settimana prossima – dopo Ei Towers/Rai Way naturalmente – e cioè il cda straordinario di Rcs convocato lunedì per decidere dell’offerta non vincolante di Mondadori per l’acquisizione della Divisione Libri. La stampa e i media ne parlano da un paio di settimane e sui media si moltiplicano gli appelli – i più noti sono quelli del semiologo Umberto Eco e del teologo Vito Mancuso – affinché una prestigiosa casa editrice non si concentri con un gruppo editoriale che fa capo al Babau dei benpensanti radical chic e radical snob del nostro Paese, cioè Silvio Berlusconi.

Noi scriviamo per una testata che è partecipata al 36,9% dalla Arnoldo Mondadori Editore. Prima di attaccare con la solita boiata del «conflitto di interessi» e menate varie, sentite cosa ha dichiarato il nostro editorialista ed ex direttore Vittorio Feltri. «Non capisco che interesse abbia la Mondadori a spendere 120 milioni per una casa che forse non ne vale neanche la metà. Ma sono cose imperscrutabili se non hai interessi in gioco. Dopo di che scattano appelli contro un presunto monopolio, come se Berlusconi fosse lo stesso di vent’anni fa. Ma lui non è più lo stesso», ha detto a Dagospia.

Il nostro mestiere non è quello di commentare (e poi non abbiamo la sua stessa verve), ma un paio di cose ve le possiamo dire. E poi, giudicate liberamente voi. Vi diciamo solo che questa volta non prenderemo nessuna posizione e faremo che siano solo i numeri a parlare. Speriamo solo che abbiate letto bene la storia recente della Aldo Garzanti Editore.

Innanzitutto, Rcs Libri è in bilancio a 180 milioni di euro. Il valore di iscrizione è nominale perché ovviamente al business librario sono connessi anche alcuni debiti che ne abbassano il prezzo di mercato che si può stimare in una forchetta compresa tra i 120 e i 150 milioni di euro. La controllata, che oltre al marchio Rizzoli può contare su corazzate come Bompiani, Adelphi e Fabbri (tanto per citarne qualcuna), non vede un risultato positivo dal 2011 quando l’Ebit fu di 10,6 milioni. Fu l’ultimo esercizio in cui è stimabile che i Libri abbiano prodotto un utile assieme ai quotidiani Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport. L’Ebit dell’anno scorso fu di 1,1 milioni ma sconta una progressiva riduzione del perimetro aziendale. Il fatturato 2013 è stato di circa 250 milioni con un margine operativo lordo di 4,2 milioni. Insomma, sono oltre tre anni che i ricavi sono quasi tutti «divorati» dai costi. È difficilmente ipotizzabile che l’ad di Rcs, Pietro Scott Jovane, che ha puntato tutto sul digitale, effettui investimenti su un business tradizionale come quello dei Libri, avendo già speso molto danaro per il lancio del portale GazzaBet e per l’inaugurazione del canale televisivo GazzettaTv, afferenti all’universo della Rosea. Giusto? Sbagliato? Non sta a un giornalista affermarlo. I numeri dicono che progressivamente Rizzoli ha bruciato il business dei suoi Libri così come ha fatto con i suoi periodici dismessi.

In casa Mondadori, invece, il business dei libri ha continuato a produrre qualche profitto nonostante il calo dei ricavi. Nel 2013 il fatturato è diminuito del 10% a 334 milioni, ma ha determinato un Ebit di 43,5 milioni, l’utile deve essersi avvicinato a qualche decina di milioni di euro ma è stato annegato da svalutazioni che hanno portato il consolidato di gruppo a -185 milioni. A Segrate è stata fatta pulizia in previsione di un cambiamento. E mentre Rizzoli  ha deciso di puntare sui nuovi media, Mondadori si è tenuta stretta il suo core business cioè i Libri (anche in formato digitale) e qualche periodico. La parola d’ordine del 2015 è la stessa della consorella editoriale del gruppo Fininvest: tagliare i costi per sostenere investimenti. Se Mediaset ha speso molto per i diritti tv della Champions League, Mondadori vuole aumentare la sua quota di mercato nei libri in Italia che, con Rizzoli, passerebbe dal 27 al 38,8 per cento.

La concorrente francese Hachette, pur avendo una quota di mercato inferiore, produce molti più ricavi. Lasciamo perdere la tedesca Springer che è di un altro pianeta. Se l’integrazione Mondadori-Rizzoli sia fattibile coeteris paribus, lo stabilirà l’Antitrust. Sappiate che difficilmente un altro editore italiano potrebbe avere la forza di acquisire Rizzoli. Le strade, se Scott Jovane decidesse ora o in futuro di vendere ad altri da Mondadori, sono perciò due: uno spezzatino all’italiana o un grande big internazionale a cui Eco o Mancuso potrebbero anche non piacere…

Wall & Street

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