Il 2024, secondo i principali previsori internazionali (Commissione Ue, Bce, Fmi e Ocse, potrebbe essere un anno caratterizzato ancora da una bassa crescita sia per l’Unione Europea che per l’Italia, riportandoci alla situazione immediatamente precedente la pandemia di Covid. I nostri concorrenti principali, cioè Stati Uniti e Cina, procedono a una velocità molto superiore alla nostra. «Fare impresa in Europa, in Italia, è più difficile che fare impresa altrove e alla fine questo è il problema di fondo della bassa crescita», spiega Mattia Adani, Ceo di CbcCad Oil, nell’ultima puntata di «Wall & Street Live». L’elemento sorprendente di quest’intervista è che, pur essendo stata realizzata l’11 aprile, ha centrato con una settimana di anticipo tutte le tematiche relative alla competitività europea contenute nel report di Mario Draghi di prossima pubblicazione.

Lo scenario macroeconomico caratterizzato da tassi elevati ha creato ulteriori problemi alle aziende italiane dal punto di vista finanziario. La domanda si è contratta, i consumi si sono ridotti, soprattutto i consumi di beni di investimento e il settore manifatturiero è destinato a risentire particolarmente di questo scenario sfavorevole. «A mio avviso, ci sarà un altro round di aggregazioni tra le piccole e le medie imprese. Nel 2008 inel Nord Italia, c’erano 250.000 fabbriche, imprese, ad oggi siamo a 180.000, abbiamo perso il 30% nel silenzio generale, ma la produzione industriale è rimasta costante, quindi le imprese si stanno aggregando e questo processo continua», aggiunge Adani.

L’impresa italiana, ha evidenziato Adani, è meno efficiente rispetto ai nostri competitor, questo deriva anche dal fatto che «la nostra struttura produttiva rispetto alle altre è più frammentata, quindi non abbiamo più piccole e medie imprese, piccole e medie imprese, durante i momenti di crisi tendiamo a performare meglio degli altri, perché siamo molto flessibili e adattabili, ma questo comporta anche inefficienza, per cui noi abbiamo da un certo punto di vista un sistema che è molto resiliente, cioè si adatta rapidamente, ma anche poco efficiente». Questa scarsa efficienza cosa comporta? «Il valore aggiunto è più basso e alla fine gli stipendi sono più bassi. che è quello che poi le persone sentono, cioè un’economia a basso valore aggiunto produce un livello stipendiale più basso per la propria comunità».

Qual è la soluzione? «La piccola e media impresa italiana deve diventare un po’ meno piccola e questo va fatto con un percorso graduale, senza imporre la costruzione di grandi colossi dall’esterno e poi presidiando i processi tecnologici in atto», rimarca. Ci sono due transizioni in atto: la prima è quella della sostenibilità e l’altra è quella delle nuove tecnologie e dell’intelligenza artificiale. Per quanto riguarda il green, «l’Europa vuole darsi degli standard sociali e ambientali molto più alti del resto del mondo, il resto del mondo però non ci sta seguendo come noi speravamo, questo vuol dire che le imprese europee rischiano di trovarsi spiazzate, perché non si può contemporaneamente pensare di avere standard sociali e ambientali molto più alti dei nostri vicini, le frontiere totalmente aperte e un’industria in buona salute». Il rischio concreto è distruggere l’impresa in Europa senza giovare all’ambiente, «perché quello stesso inquinamento che vogliamo evitare viene prodotto a pochi chilometri dal nostro confine, quindi sto semplicemente spostando le imprese fuori senza neanche far bene all’ambiente».

L’altro tema cruciale è quello dell’intelligenza artificiale, cioè dei grandi trend tecnologici rispetto ai quali l’Europa si trova indietro. Adani non è convinto che la promozione di grandi investimenti pubblici in Europa possa dare buoni frutti visto che le tecnologie proprietarie praticamente sono assenti. «Forse bisognerebbe diffondere l’utilizzo di quelle tecnologie tra le imprese», sottolinea aggiungendo che «il machine learning potrebbe rappresentare per il manager intermedio quello che l’automazione è stata per gli operai, cioè un grande processo di sostituzione che aumenterà il valore aggiunto delle persone, anche se ne ridurrà i numeri».

Queste due emergenze tecnologiche pongono, infine, un grosso problema relativo alla qualità della formazione. «Secondo me, dovremmo ritornare alla scuola Mattei, alla scuola Olivetti, nel passato gli imprenditori non pensavano che la formazione professionale dovesse essere fatta dallo Stato, se ne occupavano loro, perché lo Stato non ha la capacità, quindi le risorse pubbliche dedicate alla formazione professionale dovrebbero essere dedicate alla formazione professionale all’interno delle aziende o, comunque, con partnership tipo gli ITS, che funzionano benissimo, che sono scuole create in collaborazione con le aziende», conclude Adani. Il tasso di occupazione dei diplomati è del 99%. Qual è il problema? «Nel chimico in Lombardia abbiamo 60 diplomati ITS all’anno, praticamente una goccia nel mare, noi dovremmo moltiplicare per 10 o per 20 quelle esperienze».

Gian Maria De Francesco

 

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