0_9fk9dysk

Comunque agisca, l’intellettuale sbaglia. Esordisco assiomaticamente per introdurre una puntata della rubrica che sarà irritualmente un elogio della vittima. Motivato da un accanimento mediatico perseverante, immite, odioso e ingiusto, culminato il 10 ottobre scorso nella trasmissione televisiva Tagadà, condotta da Tiziana Panella, nel corso della quale il filosofo Diego Fusaro è stato annichilito. Ridotto al nulla dal nulla che lo circondava. Ora, l’osservatore avvertito che abbia anche solo intercettato il professore nella sue innumerevoli comparsate televisive, non può non percepire, con il radiorivelatore della ragione, le virtù che il nulla mediatico animalescamente nasa e aggredisce: pensiero, erudizione, educazione. Tre macchie che lo marchiano come eretico contemporaneo e lo condannano all’autodafé, il cui cerimoniale televisivo si invera nella reiterazione e prevede un’iniziale derisione, un successivo atto d’accusa, e, in mancanza di pubblico ravvedimento, la soppressione. Lui risorge immancabilmente dalle sue cenerognole spoglie, e torna a esortare. Questo piglio irriducibile, accompagnato dalla pacatezza ed esattezza dell’eloquio, ne fanno un paladino del palazzo dei saggi. Ma prima di approfondirne le benemerenze, vorrei allertarlo sulle carenze.

 

 

La sua trasfigurazione fisica è stata eclatante e provvidenziale. Quando lo incrociai anni fa in Corso Sempione, pensoso davanti a un locale gay friendly, mi parve il classico assistente professore un po’ lesso, inciampato nella giacca di velluto dalla grossa grammatura, con cravatta mal scelta e annodata, barba più simile a un’ascella, occhialetto liberal wanna be in abbinamento alle veterocomuniste Clarks e un irsuto animale in testa di specie ignota. Oggi si è reinventato in una tonificante veste Ivy League, fra richiami al canottaggio, al polo, al sottobosco cinegetico, e, pur servendosi di giacchette délavé con spillette incorporate tagliate nella volgare stoffa del mass market globale e di camicie logate, ha saputo valorizzare la propria fisionomia da preppy putto. A ciò si accompagna qualche shampoo in più, il volto ben rasato, ma soprattutto un’ironia affilatissima e sempre più disinvolta, la cui acuzie risulta spesso a salve soltanto per la stolidità dei consessi a cui partecipa. E veniamo alle critiche.

 

 

 

Fusaro dimostra ammirevole abnegazione quando si mescola nel torbido cercando di riuscirne come smeraldo dalla motriglia; esibisce una quasi soprannaturale atarassia quando mantiene decoro financo nella porcareccia più nauseante, come il salotto di Parenzo. Eppure la sua accordatura irrita, anche quando produce la melodia del concetto. Ha un tono di voce pedante, con poche variazioni, e una comunicazione paralinguistica che ricorda Quinto Giunio Rustico: aspetti che non favoriscono l’empatia ed eccitano la fiamma caricaturale, il cui divampare sarebbe esiziale. La sensazione superficiale è che si presenti per sdottoreggiare, quando invece il suo scopo è scuotere le coscienze con pensieri calmi e grandi. Deve trovare delle variazioni di timbro, tono e kinesis, perché se diventa maschera del saputello baccalà… è finito. Eppoi la promozione commerciale è intollerabile; non puoi andare nella grotta di La7 a caccia del drago capitalista che sputa il fuoco della propaganda consumistica con in mano il tuo nuovo libro sull’eros! Comprendo il ragazzo, perché il tema è afrodisiaco sufficiente per fargli coprire tutte le calde giovinette dai costumi turbo-libertini che non ha coperto nei rigidi inverni accademici; eppure ci tengo a ricordargli che la proairesi scopereccia, per quanto lodevole, talvolta deve cedere alla continenza della coerenza. Rettifico in presa diretta l’insolente accusa di giocare al cazzomatto: ho appena scoperto che è fidanzato e a favore  della copula tradizionale. Quindi cade anche l’ultima rispettabile giustificazione per fare mercimonio della propria fecondità saggistica.

 

Purtuttavia, Fusaro è necessario, indispensabile. Ha una lucidissima comprensione del mondo in cui vive. E’ un fine esegeta del dominio, un artificiere dei peti che rischiano di deflagrare ogni giorno in diretta televisiva, e il suo sangue freddo può salvare molte anime. E’ un sontuoso declamatore che padroneggia la prammatica del linguaggio e sa reinventarne i codici. Si rivela post-convenzionale anche nelle prese per il culo, servendosi di una dialettica anni luce più avanzata di quella dei suoi oppositori e risulta spassoso quando usa la maieutica per far uscire il bambino scemo che sta dentro l’interlocutore. La sua solitudine, poi, ne ingigantisce i meriti. Un tempo la moralità intellettuale aveva un aspetto sociale, un superio morale. Essa si costituiva sulla base di un’idea della giusta società e dei suoi cittadini. Oggi questa prospettiva è venuta meno, così la spinta intellettuale verso il basso non incontra più inibizioni, e tutta la sporcizia che una civiltà barbarica ha accumulato nell’individuo, la mezza cultura, la sciatteria, la familiarità sguaiata, la mancanza di stile, vengono a galla. Nella maggior parte dei casi, per giunta, questa tendenza si giustifica e si maschera come umanità, come volontà di rendersi comprensibili agli altri… ed ecco galleggiare i sinistri analisti da talk show. Quelli presenti alla corte della Panella, dove Fusaro, perennemente con il ditino alzato in cerca di accettazione, è stato al postutto oscurato. Plausibilmente a causa di una discussione con Maria Teresa Meli, giornalista la cui intelligenza è superiore alla simpatia, ma inferiore all’avvenenza. Un kakapo di borgata la cui massima espressione intellettuale è il sintagma «e anche no», usato per sentirsi molto millennial. Ma vorrei riportare uno scambio emblematico: «Io la adoro perché bisognerebbe pagarla per le figure di merda che sta facendo lei», argomenta con tutte le grazie dell’eleganza la Meli. «Lei umilia la sua intelligenza in tal guisa; la invito a mantenere compostezza», replica Fusaro. «Lei non sa neanche parlare, povero», valuta la signora, collocando definitivamente la sedicente intellighènzia nello stambugio della più greve burinasinaggine (in calce il link della vicenda).

 

 

Il prosieguo della trasmissione vede lo sventurato eroe del senno difendere le ragioni di un governo che opera con il preciso proposito di andare in direzione «obstinate contra»; contro gli imperativi mercantili, i diktat della burocrazia europea e più in generale dell’establishment, sullo slancio delle deliberazioni popolari. E quindi ogni resistenza che provenga da tali “sospette” autorità non farà altro che rafforzarne l’orgoglio riformatore. Quando il filosofo si lascia trascinare in una discussione, dovrebbe parlare in modo da farsi dare sempre torto, ma – nello stesso tempo – facendo emergere la non-verità del suo avversario. E in questo Fusaro è piuttosto attento, tanto da stimolare eritemi nella moderatrice, che lo accusa di farle venire l’ansia. Successivamente, in studio arriva un garrulo Minniti, che sembra Crozza mentre imita Minniti. L’ex ministro dell’Interno, stimolato a immaginare il futuro del Pd, afferma la necessità di ripartire dal lemma “democratico”, come presagio del partito che rappresenta. E lo fa con l’enfasi teatrale che ne contraddistingue la facondia. Fusaro alza il ditino. Lo vediamo nel maxischermo. Lo nota anche la conduttrice. Resta lì un po’, con il ditino alzato. Noi lo alziamo con lui perché insieme vorremmo opinare a Minniti che il dèmos si è pronunciato e li vuole fuori dai maroni; che il dèmos intende affermare la propria centralità, contro invadenze sovranazionali; che il dèmos si aspetterebbe dal Presidente della Repubblica richiami all’interesse della res publica, non alle minacce private delle agenzie di rating. Ma Fusaro evapora, non lo sentiremo più. La trasmissione prosegue a lungo nell’evanescenza ruffiana dei presenti, e quando vengono mandati i titoli di coda scorgiamo sullo sfondo virtuale un melanconico professore togliersi il microfono per uscire di scena con l’aria di Jacques il fatalista. Where everything is bad… it must be good to know the worst.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tag: , , ,