Fra i temi che si stanno imponendo nella discussione politica, un posto particolare merita il cosiddetto “reddito di cittadinanza” (con le sue varianti). Se ne parla ovunque. Anche perché la misura che il Movimento 5 Stelle ha portato alla ribalta, con gravi incertezze sulle coperture, ora sembra far breccia anche in aree lontane dal populismo dei “grillini”. Ha sorpreso molti, per esempio, che sia stato il governatore leghista della Lombardia, Roberto Maroni, a proporre qualcosa di simile. Ha sorpreso non tanto per la sua collocazione “nel centrodestra” (tanto meno nella Lega), quanto per la sua esperienza da ministro del Welfare nel governo Berlusconi, un esecutivo che ha governato con grande equilibrio la materia del lavoro, tanto da essere allora apprezzato e oggi rimpianto non solo dagli imprenditori, ma da consistenti settori del sindacato, di orientamento moderato e non – pensare al riconoscimento arrivato da Giorgio Landini della Fiom.

Maroni nega che la sua misura sia ispirata da logiche assistenziali. Cita i 700mila lombardi sotto la soglia di povertà (dati del Banco Alimentare) parla di ultrasettantenni, persone con disabilità, famiglie e persone fragili. Eppure non riesce a convincere tutti. Il segretario della Lega Matteo Salvini, intanto, ha subito parlato di “un messaggio culturalmente sbagliato” e di “un’elemosina di Stato”, per poi correggersi dopo un chiarimento che avrebbe escluso il rischio di una misura “troppo grillina”. Ma anche Forza Italia si è mostrata molto scettica, per non dire contraria, sul progetto. Gli azzurri non condividono il piano di Maroni. E il loro no contribuisce a far pensare che ci sia uno scarto “assistenzialista” nella proposta maroniana. D’altra parte per ognuna delle categorie in crisi individuate dal governatore sembra esistere una soluzione diretta, dalla pensione al quoziente familiare, in grado di intervenire in modo circoscritto ed efficace, senza ricorrere a uno strumento costoso perché destinato a tutti. Quanto alle politiche del lavoro, proprio il welfare targato Maroni-Sacconi aveva puntato tutto sulle politiche attive, di inserimento, formazione e aggiornamento, proprio quelle a cui sta lavorando l’assessore regionale Valentina Aprea, che in quell’esecutivo 2001-2006 era sottosegretario. Insomma, qualcosa non torna fra la stagione del Maroni ministro e il progetto del Maroni governatore.  E l’esito di questa disputa sarà significativo per il centrodestra del futuro.

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