Il Pini, la giustizia e il riflesso giustizialista
“Questa gente deve essere linciata ed esposta in pubblica piazza affinché casi di questo genere non succedano mai più“. Non è il commento di uno dei tanti utenti della rete. Nient’affatto. Il commento è di un consigliere regionale della Lombardia, Stefano Buffagni, che si riferisce alla vicenda del medico dell’ospedale Pini, il primario finito agli arresti – e sotto i riflettori – con accuse particolarmente gravi (“Ho rotto il femore a un’anziana per allenarmi” è la frase riportata dai giornali).
Buffagni è il più noto dei consiglieri regionali del Movimento 5 Stelle. Il più noto perché, probabilmente, il più capace e rappresentativo. Un “grillino” in grado di gestire con intelligenza la funzione istituzionale, giocando con equilibrio fra la veste del “portavoce” 5 Stelle e la funzione di eletto in una Regione ricca, civilissima, moderna e che bada molto al sodo. Buffagni è stato capogruppo dei 5 Stelle. E prima delle elezioni regionali aveva già una sua professione. Sarebbe un candidato spendibile per il futuro e gode di massimo rispetto. Ma qualcosa non va nel suo commento (pubblicato nella pagina pubblica, quella del politico). Qualcosa stona, anche se non è facile dirlo. E’ impopolare certo, perché è ovvio che entrando in uno qualsiasi dei bar italiani, un commento come quello appena riportato sarebbe la norma, anzi riscuoterebbe approvazione pressoché unanime. Il punto, però, è che la politica non è come una conversazione da bar, anche se negli ultimi anni – non certo per colpa di Buffagni, non solo per colpa dei 5 Stelle – non sempre si è vista la differenza. La politica deve essere anche cultura politica. E la demagogia è la politica senza responsabilità, senza rispetto per le prerogative istituzionali e senza cultura politica. E della cultura italiana fanno parte la cultura giuridica e le garanzie giuridiche. Nella città degli illuministi e di Cesare Beccaria, non si può dimenticare che ciascuno ha diritto a un legittimo (e giusto) processo. Non c’è bisogno di essere garantisti per affermarlo. E non si può fare l’errore (troppo diffuso) di ritenere che un giusto processo sia un lusso a cui si può derogare in presenza di accuse gravi. Semmai è proprio nei casi di imputazioni pesanti che un giusto processo si rende ancor più necessario, soprattutto su un piano logico: fino a una sentenza (possibilmente definitiva) il colpevole non esiste, letteralmente, per cui non ha alcun senso “sbattere dentro il colpevole senza processo”.
E’ bene tornare ricordare che il medico è stato trasformato in un mostro sulla base di alcune frasi estrapolate e riportate, ovviamente fuori dal contesto. Ma, come ha scritto il direttore del Giornale Alessandro Sallusti “può un professionista essere fatto passare per mostro e arrestato solo perché al telefono, dopo una giornata passata in camera operatoria, usa parlando con amici una parola, «allenamento», inadeguata al tema? Se la risposta fosse «sì», saremmo in presenza di un nuovo reato, quello di «parola inadeguata o sconveniente», dal quale in pochi ci salveremmo”. “Ci sono insomma i presupposti per temere che ci si trovi di fronte all’ennesima inchiesta mediatica, questa volta nel campo della sanità”.