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“Protestiamo contro ciò che accade in Iran”. “Contro la repressione”. Alcune decine di giovani iraniani si sono radunati ieri sera in piazza Cordusio, in pieno centro di Milano, per manifestare vicinanza con i concittadini che a Teheran e in altre venti città stanno rischiando la vita, con le forze di sicurezza che sono accusate di reprimere le proteste nel sangue, mentre il regime minaccia la forca per il leader della contestazione – nata per lo più pacificamente – e oscura internet e gli altri mezzi di comunicazione.

Oggi è stato il sesto giorno consecutivo di contestazioni,  i cecchini sparano dai tetti e alcuni bilanci “prudenti” parlano di circa 140 morti. Ieri Amnesty International ha fatto sapere che sarebbero almeno 106 i manifestanti uccisi in 21 città. Sempre ieri Iran Human Rights dava voce al giornalista iraniano Shahed Alavi, basato a Washington, che citava una fonte interna al governo di Teheran secondo cui “200 persone sono state uccise e più di 3.000 sono rimaste ferite tra venerdì e lunedì” scorsi. Ieri anche Iran Human Rights Monitor scriveva di almeno 220 morti. Ma non esiste un bilancio ufficiale delle vittime. La polizia iraniana ha spiegato che due agenti sarebbero stati “uccisi”. La rabbia della popolazione è esplosa per l’aumento del prezzo della benzina, a un anno e mezzo dal ripristino delle sanzioni americane. E’ stata una sorpresa, ha sostenuto Ali Saidi, religioso vicino alla Guida Suprema, Ali Khamenei. La leadership iraniana, secondo alcune dichiarazioni riportate da Radio Farda, “non si aspettava proteste dilaganti” e attribuirebbe la colpa a una “brutta decisione”, una velata accusa all’amministrazione Rohani.