Come si può fare finta di niente? E che significato ha l’indifferenza? La protesta delle donne e dei giovani sta infiammando l’Iran, un Paese finora oppresso da un regime teocratico islamista, totalitario e potenzialmente genocida (le minacce rivolte a Israele e agli ebrei non si fermano). Le manifestazioni anti-regime sono partite, anzi ri-partite, dopo la tragica fine di Masha Amini, la 22enne arrestata dalla polizia di Teheran (perché non portava il velo in modo «appropriato») e morta in ospedale dov’era arrivata in coma per le percosse subite in caserma. Da Teheran, le proteste si stanno allargando ad altre città dell’Iran, di altri Paesi, compresa Milano, dove martedì un centinaio di persone ha manifestato in piazza Cordusio. Vestite di nero, hanno acceso dei lumini dedicati alla giovane uccisa per una ciocca di capelli fuori dal velo. E molte donne, a Cordusio, se li sono tagliati i capelli, in segno di ribellione all’oppressione integralista (e maschilista) hanno bruciato il velo (hijab) e gridato «no alla dittatura» e «no all’hijab obbligatorio». Di fronte a tutto questo come è possibile restare indifferenti? Come possono restare indifferenti, soprattutto, quelle donne che – a parole – sono impegnate nella difesa dei «diritti». Le femministe, le progressiste, quelle che scioperano l’8 marzo, le consigliere comunali e regionali del Pd. Le donne della sinistra italiana mobilitate giorno e notte per contrastare i propositi (immaginari) della «destra», non hanno un minuto di tempo e un’oncia di energia per ascoltare l’appello delle donne iraniane? E Sumaya Abdel Qader, già dirigente dei centri islamici, poi consigliera del Pd, ora ricercatrice alla Cattolica. Volto dell’islam italiano, docente di un’università italiana, Abdel Qader si è battuta per difendere il diritto di portare il velo e non ha niente da dire sul diritto delle donne di toglierselo, quel velo? Pare che a sinistra nessuno abbia capito. Di certo, nessuno muove un dito.