Nel Giorno della memoria, ho visitato le cinque pietre d’inciampo della mia città.
Davanti alle case in cui abitavano, ho letto i nomi di persone vere, deportate mentre molti italiani denunciavano, subentravano nei loro appartamenti, nei loro posti di lavoro, nelle loro cattedre. Oppure tacevano. Eseguivano disposizioni arrivate dall’alto. “Tutta Italia tiene famiglia” dice il protagonista del Giardino dei Finzi Contini.
Queste persone non erano testimoni della shoah. Lo sono diventati loro malgrado, dopo aver subito sulla loro pelle l’orrore nazista. E in questo che ha sbagliato – probabilmente in buona fede – il sindaco di Milano Beppe Sala, quando ha accostato Anna Frank e Greta Thunberg. Le vittime della shoah, anche coloro – una minoranza – che dai campi hanno fatto ritorno, non sono scrittori, non sono attivisti dell’ambiente. Sono persone che non hanno scelto una causa politica o sociale. Furono in gran parte uccise, senza motivo e senza pietà, e con una sola “colpa”, come dice Liliana Segre: la colpa di essere nate.
E quell’orrore non è stato il prodotto estemporaneo e inspiegabile della storia. E’ stato il culmine di una escalation di odio e pregiudizio alimentata da una pulsione ideologica perversa e precisa: l’antisemitismo.
Quando diciamo “come è potuto succedere?” dobbiamo tenerlo presente. Dobbiamo tenere ben presente che l’antisemitismo esiste ancora, e che l’unica vera certezza che non accada più si chiama Stato d’Israele.
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