A proposito di mastectomia preventiva e del post “Via il seno per non ammalarsi: lo racconta in un libro”, riceviamo e pubblichiamo da un lettore:

Ho letto con interesse i suoi articoli sul cancro al seno avendo avuto anch’io mia madre che si ammalò un anno prima di lei, e dopo 5 anni grazie al cielo sta bene, e senza recidive (lei ha avuto un cancro tipo T1, di circa 1,5 cm., Hr+ Prg+).

A tale proposito, dal momento che mia madre aveva già 69 anni, credo sia stato molto importante l’incontro che ebbi con un ottimo oncologo, il dott. Gabriele Martelli dell’Istituto Tumori, che ha compiuto un test molto importante  http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3018257/
e che dimostrava che la resezione dei linfonodi ascellari NON influenza le prospettive di sopravvivenza, nelle pazienti in post-menopausa (ma anche nelle donne più giovani, in generale), che rimangono ugualmente alte.
 
Quindi, è il caso di pensarci bene a farsi svuotare il cavo ascellare, nel caso in cui il linfonodo-sentinella risultasse positivo, perché le cellule tumorali nei linfonodi non sono una vera metastasi.

Grazie a questo studio di Martelli, nonostante mia madre risultasse positiva al linfonodo sentinella, (1 su 2 invasi) e quindi le consigliassero l’asportazione dei linfonodi, lei su consiglio mio e di Martelli ha rifiutato l’intervento (che avrebbe avuto pesanti conseguenze in termini di dolori e ridotta mobilità del braccio operato) e si è curata con l’Arimidex e con la radioterapia (le avevano praticato la quadrantectomia), ed è andato tutto bene.

Ma vorrei dire chiaramente che ritengo un enorme errore questa idea, che si va radicando sempre più, a favore di interventi di mutilazione a scopo preventivo, in particolare per la mastectomia nelle donne col BRCA 1 e 2.

Ci sono alcuni motivi che secondo me dovrebbero indurre una donna a rifiutare questo tipo di intervento, e perfino a sottoporsi al test predittivo:

1) Anche ammesso e non concesso che il test predittivo sia esatto, e dunque una donna abbia il 100% di probabilità di sviluppare il cancro al seno, NON è affatto certo che l’asportazione di entrambe le mammelle lo prevenga. E’ noto (e lo ha ribadito anche il prof. Veronesi) che il cancro può ugualmente svilupparsi anche se una ridotta parte di tessuto mammario è ancora presente. E poichè è praticamente impossibile asportarlo al 100% , anche con l’intervento preventivo, ecco che sarebbe davvero devastante (anche psicologicamente) se una donna si ammalasse ugualmente, anche dopo l’ablazione dei seni. Si sarebbe mutilata inutilmente, senza evitare l’insorgere della malattia, mentre ormai si riesce a salvare quasi sempre entrambe, o almeno una mammella, seguendo la procedura standard.

2) Poichè il test predittivo ha una % di errore alta, significherebbe che vi sono alte probabilità che una donna positiva al test abbia affrontato INUTILMENTE un intervento mutilante e doloroso, e con notevole impatto sulla sua femminilità, con successive ricostruzioni, degenze, ecc., e quindi con conseguenze molto negative sulla propria vita di relazione, lavoro, tempo, ecc., solo per un timore che potrebbe essere infondato.

No, io ne ho parlato con un’amica, che è anche docente di patologia, e nemmeno lei ritiene utile questo genere di “profilassi”.

La migliore cosa che una donna può ancora fare, è tenersi controllata, in modo da cogliere, nel caso si manifesti, il tumore ai primissimi stadi, quando è possibile operare chirurgicamente in modo minimamente invasivo, salvando la mammella con la quadrantectomia (o addirittura con interventi più ridotti), e con prospettive di guarigione altissime (sopra il 98%).

Ma c’è un ulteriore motivo per cui sono molto scettico riguardo all’uso della genetica a scopo predittivo in campo tumorale, e riguarda proprio ciò che è evvenuto nella mia famiglia, che contraddice in modo clamoroso le ipotesi genetiche.

Glielo voglio esporre, perché so bene che si sta instaurando la pericolosa tentazione di riporre nella genetica ogni fiducia, fino al punto di considerarla una sorta di oracolo infallibile.

Ma il cancro è anche – e soprattutto – una malattia dovuta a cause AMBIENTALI, quindi per fortuna nessun test genetico può dire con certezza ad una persona: “sei condannata a sviluppare il cancro, prima o poi”.

Quindi io le scrivo anche come motivo di speranza: non cadete nella paura e nella depressione, anche se i vs. familiari si sono ammalati.

Ma legga attentamente la vicenda della mia famiglia, che smentisce clamorosamente le ipotesi troppo assolute di trasmissione del cancro per via genetica.

Mia madre è la 9a di 11 fratelli (di una consistente famiglia dell’area bergamasca), e di questi ben 7 hanno contratto un tumore (3 al seno: 1 deceduta/ 2 al pancreas: 1 deceduta/ 1 alle ovaie: deceduta/1 alla pleura: deceduta).

Quindi sicuramente un’incidenza assolutamente abnorme ed elevata, rispetto ai dati epidemiologici della popolazione generale.

Ora, i discendenti di quel gruppo di 11 fratelli e sorelle sono stati oltre 70, e cioè 38 figli, e una trentina di nipoti (io non ho figli).

Di questi, sa quanti sono stati colpiti da cancro?

Zero!

Zero casi di tumore tra i figli, che ormai (essendo in buona parte “figli del baby boom” degli anni ’50-’60) hanno in gran parte un’età superiore ai 40-50 anni (io ho compiuto i 50 anni a dicembre).

E zero casi di tumore anche tra i nipoti, circa una trentina.

Consideri inoltre che, di quel gruppo di 11 fratelli, due mie zie furono colpite da cancro al seno molto precocemente, una a 36 anni (e morì dopo 3 anni, anche perchè lo rimosse molto tardivamente per errore diagnostico), l’altra a soli 29 (operata nel 1968, non ha più avuto recidive).

Quindi, se vi fosse una forte componente ereditaria, è abbastanza chiaro che – su ben 70 individui discendenti da 11 persone, di cui 7 malati – sicuramente ci sarebbero GIA’ stati più casi di tumori tra i discendenti.
Credo poi che, pur nella sfortuna, il sistema immunitario di quegli 11 fratelli sia decisamente buono, se considera che comunque, una buona parte di loro ha reagito bene alle cure e ha sconfitto il cancro .

Mio zio fu operato di cancro al pancreas (notoriamente uno dei più terribili) ben 8 anni fa, eppure sta bene, ha recuperato anche il peso, fa parte di quel piccolo 5% di persone sopravvissute al cancro al pancreas dopo più di 5 anni.

Ma anche ipotizzando una situazione oncogenetica di tipo autosoma recessiva, con un classico “salto di generazione” tra i figli, i primi discendenti, c’è però il fatto che il cancro non si è manifestato neppure tra i figli dei figli.

Ma le dirò di più!

Mio padre – a differenza di mia madre – non ha praticamente casi di cancro in famiglia, tra dozzine di ascendenti, discendenti, ecc., c’è solo un caso di linfoma in uno zio ultra 70enne, e un nonno materno suo (mio bisnonno), morto giovane (a inizi del secolo scorso) per un tumore al testicolo.

Ebbene, mio zio, fratello di mio padre, aveva una moglie morta precocemente di tumore al seno, nel 1974 (ma lo operò molto tardivamente, quando era già avanzato).

TUTTE le 2 sorelle di questa mia zia (acquisita) sono morte di tumore al seno, quindi sicuramente si potrebbe ravvisare una forte componente familiare.

Eppure, le mie 3 cugine, figlie e nipoti di questo sfortunato gruppo di sorelle, hanno ormai 50 e più anni, eppure NESSUNA di loro è stata colpita da tumore.

Quindi, evidentemente, dal punto di vista genetico, nella combinazione tra il basso rischio genetico paterno, e quello elevato materno, per loro fortunatamente ha prevalso l’aspetto recessivo del cancro. (siccome i geni che causano il cancro sono anomali, tendono a non venire trasmessi tanto facilmente).

Lo stesso concetto credo valga per noi 70 discendenti di quei 7 (su 11) fratelli e sorelle colpiti da cancro.

Loro hanno avuto un’altissima incidenza di cancro, noi nessuna, almeno per ora, ma ripeto, se su 70 nessuno si è ancora ammalato, ci sono validi motivi per stabilire che l’aspetto genetico nell’eziologia del cancro passi in 2° piano nella nostra famiglia.

Quindi – e mi perdoni se mi sono dilungato un po’, ma spero di averle dato informazioni utili e in grado di suscitare speranza – direi che questa “moda” pericolosa, che confida troppo nella genetica, fino ad arrivare a considerarla una sorta di profeta infallibile, andrebbe presa con estrema cautela.

Io – se fossi una donna – eviterei sicuramente di sottopormi ad interventi tanto mutilanti e dolorosi, nell’illusione di poter controllare il futuro, ed evitare il cancro (che comunque, e va detto, può sempre colpire qualunque organo).

Credo che la cosa più saggia sia tenersi controllati, effettuando i migliori esami e check-up.

Infine, sempre a proposito di speranza, le dò un’informazione che probabilmente non conosce, anche se sembra quasi incredibile.

Pochi sanno che perfino quando il cancro ha sviluppato metastasi, neppure ciò è sufficiente per dare per certa una speranza di vita inferiore a quella delle persone sane.

Sicuramente – in media – è segno che la malattia progredisce e ci sono più probabilità che sia inguaribile, ma non è affatto certo per tutti.

C’è un caso clamoroso!

La signora Winona Mildred Melick, della California, è passata alla storia della medicina (e nel guinness dei primati!), perchè nel 1918, a 42 anni, si ammalò di tumore, e poi subì altri interventi, sempre per recidive tumorali, nel 1933, 1966, e 1968 (a 92 anni!), quindi in epoche in cui la cura dei tumori era anche molto meno efficace. E’ morta di polmonite a 105 anni e 67 giorni, nel 1981!

Quindi si può diventare ultra-centenari anche dopo essersi ammalati di tumore, ed anche giovani!

Mentre, ed è curioso, non esiste un solo caso di persona affetta da gigantismo, di statura superiore a 2 metri, che abbia superato i 100 anni d’età. (brutta notizia per i campione del basket).

Qundi, cara Gioia, mi raccomando: sempre ottimisti, perchè è anche così che si sconfigge il cancro.
Ma mai fasciarsi la testa, o addirittura mutilarsi a scopo preventivo.

Per lo meno, questa è una mia convinzione, poi ciascuno è libero di agire come crede, ma come vede le esposto i molti validi elementi su cui è fondata.

Al2011

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