Per 40 anni la Medicina ha considerato “scientifico” testare i nuovi farmaci contrapponendoli a placebo.  A un gruppo di malati, selezionati casualmente, è somministrato il principio attivo da validare mentre, a un altro gruppo, è dato un placebo (zuccherino o altro).

Oggi la comunità scientifica si interroga se questo comportamento sia etico. E riflette sull’opportunità di cambiare registro. La nuova strada è  indicata da Aron Goldhirsch, vicedirettore scientifico dell’Istituto Europeo di Oncologia.

“Occorre selezionare meglio la popolazione da studiare; offrire una informazione più completa sui nuovi farmaci da sperimentare, sottoporre il paziente a un consenso informato più comprensibile. Non solo: è indispensabile poter cambiare lo studio strada facendo e trovare alternative al placebo, perchè non è più accettabile dare a un malato una sostanza che sappiamo essere inefficace”.

Goldhirsch mette in discussione il principio della randomizzazione, in base al quale un gruppo di malati viene sottoposto alla terapia standard e un altro a quella innovativa, selezionandoli a caso.

“Una via d’uscita potrebbe essere quella di trovare gruppi più significativi di pazienti utilizzando la medicina molecolare” (tradotto: cercare fra i malati quelli che esprimono al meglio le caratteristiche di recettività e responsività al nuovo farmaco).

Spiega il condirettore scientifico dell’Ieo Pier Giuseppe Pelicci: “Abbiamo una trentina di farmaci antitumorali oggi nel mondo. Sembrano tanti, ma in realtà sono disponibili per pochi, perchè ciascun farmaco personalizzato cura un piccolo gruppo di pazienti. Il fatto è che le sperimentazioni sono lunghe”.

Secondo Pelicci i tempi si potrebbero accorciare: “Il crizotinib, che funziona solo nei casi di tumore al polmone in cui il paziente abbia il gene Alk alterato (4% dei casi), su pressione dei pazienti è stato approvato in 2 anni, sperimentandolo su 89 pazienti, senza randomizzazione”.

E secondo il ricercatore Pier Paolo di Fiore non si tratta di stravolgere decenni di metodologia scientifica nello sviluppo dei trial clinici, ma “è l’occasione di riuscire a liberarci dalla tirannide della statistica proprio utilizzando le conoscenze fin qui acquisite con la metodologia classica”.

Prima si crea il farmaco e poi si cercano i malati col lanternino per vedere se hanno le varianti genetiche adatte alla molecola. Assai complicata la nuova strada della scienza…

E quella vecchia?

Ecco un articolo del 2010 segnalatomi da Anna Girasole Blu.  Ricercatori americani sostengono che quando non è specificata la composizione del placebo, anche lo studio non può ritenersi valido. Hanno controllato 167 test di farmaci condotti fra il 2008 e il 2009: il 92 per cento di questi non precisava gli ingredienti dei placebo.

Non solo: chi ha fornito i placebo? Gli stessi produttori dei farmaci da testare…

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