Stamina, quando il giudice legge Nature
Ho trovato su internet una lettera toccante. Un papà modenese di 53 anni, malato grave di Sla, avrebbe voluto provare a curare i suoi sintomi con le staminali mesenchimali del metodo Vannoni, ma un giudice glielo ha impedito.
Ecco cosa ha scritto.
Ho 53 anni. Il 20 luglio 2012 mi hanno diagnosticato la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA). Se i giorni sembrano tutti uguali, quel giorno per me è stato diverso da tutti gli altri. Fino a un mese prima, avevo una vita molto attiva: per lavoro facevo 6 viaggi all’anno negli Usa e il resto lo dedicavo alla mia famiglia, una splendida famiglia composta da quattro figli sani, in età diversa ma tutti bisognosi dell’affetto e della presenza dei genitori. Oggi, a poco meno di un anno dalla diagnosi, mi trovo semiparalizzato in carrozzina, nell’impossibilità di compiere gesti quotidiani: non riesco neppure a sfogliare un giornale. L’unica cosa che posso fare è ascoltare le persone che mi parlano perché non sono quasi più in grado di poter comunicare attraverso la mia voce. Le guardo fare le cose più banali, camminare, abbracciarsi o anche semplicemente grattarsi. Sì, grattarsi dove ha punto una zanzara. Tutte cose che, fino a poco tempo fa davo per scontate e ora per me impossibili, mi sembrano bellissime.
Dal primo giorno della malattia, l’unico pensiero ricorrente è: “Quando troveranno un modo per fermare questa inesorabile erosione fisica?” Nelle ultime settimane si sono aggravate le mie condizioni respiratorie e di deglutizione; mi porteranno in tempi brevi alla morte. La mia mente però non degenera; anzi, mi sento più lucido adesso di qualche mese fa ed il pensiero fisso è: “Bisogna trovare il modo, bisogna fare presto, prestissimo”. Dopo aver letto ed esserci informati sui risultati ottenuti con il metodo Stamina, ho ricominciato a sperare di poter almeno rallentare il decorso della malattia.
Mi rivolgo perciò a voi, scienziati, studiosi e non, che in questi giorni vi accanite, pieni di certezze. Vi dico: la medicina ufficiale deve prendere in considerazione lo stato psicologico e mentale di una persona alla quale rimangono pochi mesi di vita. Quando non esiste nessuna terapia “scientificamente provata e testata”, è umano aggrapparsi ad una “luce di speranza”.
Alla fine della tua vita o, poco prima, quando senti la forte compassione che la gente nutre nei tuoi confronti, quando vedi la rassegnazione sui volti dei tuoi amici più cari, speri che tutto questo finisca presto. Un malato terminale arriva ad un “punto di non ritorno” ed è proprio in quel momento che è disposto ad intraprendere terapie anche molto rischiose proprio perché dice: “Non ho nulla da perdere”.
Se poi queste terapie, per altro senza effetti collaterali negativi accertati, risultassero inutili? Inutili lo saranno state per voi. Avrete gettato soldi, perso prestigio, potere e credibiltà, ma per me e la mia famiglia, beh, lo voglio dire, mi avreste permesso di trascorrere il tempo che mi rimane sperando. Le giornate riacquisterebbero un senso e questo credo, valga molto, ma molto di più di quello che andrete a perdere voi. A voi, scienziati, studiosi e non, che in questi giorni vi accanite, pieni di certezze, chiedo: datemi un’alternativa, qualsiasi essa sia.
Sarei immensamente felice di intraprenderla. Inoltre vi chiedo, tra un paio di anni, quando io non ci sarò più, cosa direte ai miei figli qualora queste terapie dessero i risultati sperati ed in alcuni casi già accertati? Come farete a spiegare loro che questa è l’Italia, un Italia ricca di idee, di risorse ma dove è troppo radicato il potere forte delle lobby che si arrogano il diritto di decidere come, dove, quando e perché.
Oggi hanno deciso, ancor prima dei risultati della sperimentazione, peraltro approvata dal Senato, che no, queste terapie non funzionano. Oggi, un giudice di Modena ha ritenuto di rigettare la mia richiesta di poter accedere alle cure compassionevoli secondo il cosiddetto – tanto da voi discusso e da noi sperato – metodo con cellule staminali mesenchimali messo a punto dal professor Davide Vannoni e dal dottor Marino Andolina. Oggi quel giudice non sa o forse preferisce non sapere che per me è stato un bruttissimo colpo. Per questo voglio dirvi che toglierci la speranza è pari a toglierci la vita.
Altra città (Firenze), altra malata (una dodicenne), stesso verdetto negativo. Ma questa volta gli avvocati hanno chiesto la “ricusazione”. Ossia il diritto a cambiare giudice. Che, se verrà accolto, permetterà alla famiglia di ricevere una nuova sentenza.
I genitori di una ragazzina di 12 anni, colpita da atassia di Friedreich, gravissima malattia degenerativa, si erano rivolti a un tribunale per poter sottoporre la figlia alla terapia Stamina.
Il 13 giugno arriva il no del giudice.
Ma secondo gli avvocati di famiglia, il collegio giudicante era interamente composto da magistrati che avevano pubblicamente dichiarato ad altri colleghi la loro posizione contraria al metodo di Vannoni.
Nel reclamo degli avvocati la terapia di staminali era stata richiesta con questa motivazione: “Di fronte a una prospettiva che ha un nome certo e sicuro – morte – qualsiasi spiraglio, speranza, anche miraggio se vogliamo, deve essere valorizzato e qualsiasi tentativo intrapreso, in ossequio al sacrosanto diritto alla vita”.