Rifiuti un farmaco a tuo figlio? Via la patria potestà e la colpa è di Stamina
La storia che stiamo per raccontarvi è successa in un ospedale veneto la scorsa primavera. Avremmo voluto riportarla rispettando l’anonimato dei protagonisti ma l’altro giorno è rimbalzata da un giornale alle tivù, con alcuni fatti travisati. Le bugie non solo hanno distratto dalla verità ma sono servite a un’altra causa che va per la maggiore, di questi tempi, in materia di sanità: boicottare Stamina.
Qui potete leggere la versione distorta. In realtà, il pm non ha chiesto al tribunale dei minori di togliere la patria potestà a due genitori “perchè hanno curato la loro figlia con Stamina”, come lascia intendere il titolo de La Stampa.
E neppure perchè la mamma si è rifiutata di somministrare un farmaco salvavita. Trattandosi, la medicina in questione, di un rimedio all’acido urico appena un po’ sopra la norma.
La donna si era accorta che la figlia – nata con un ritardo psicomotorio e ricoverata in ospedale per un’infezione – aveva avuto le convulsioni dopo aver ingerito una medicina per ridurre l’acido urico. Ha chiesto che venisse interrotta la somministrazione ma i medici si sono rifiutati ( più per ribadire la loro autorità che per effettiva necessità, l’acido urico della bimba era lievemente sopra il range).
Ne è nato un braccio di ferro, “lei non è il medico, qui decidiamo noi”, sul fronte opposto: “Ho letto il bugiardino e mia figlia sta male”.
La morale è che vince il più forte ( l’ospedale che ha fatto partire la denuncia ) e ci rimette il più debole (la bambina che rischia di perdere mamma e papà e di dover vivere, se la richiesta del pm verrà accolta, in un posto “eterofamiliare”, che significa: lontano da casa) . Il 17 ottobre i genitori di Alice verranno ascoltati dal giudice minorile.
Ecco cosa è accaduto per davvero.
Alice, 12 anni, ha un ritardo psicomotorio congenito. La mamma, casalinga, è talmente competente sulla malattia della figlia che potrebbe tenere un master agli specializzandi. E in più, come ogni mamma di bambina bisognosa, riesce a moltiplicare la sua dedizione in modo miracoloso.
La donna si è accorta subito che un farmaco – somministrato alla figlia per due volte durante un ricovero in ospedale – stava combinando guai seri. “Dapprima le convulsioni (che Alice non aveva mai avuto), poi l’ipertono e le grida continue, quindi lo svenimento e uno stato di intorpidimento – dovuto al valium aggiunto per calmarla – che si è protratto per 16 ore. Se non mi fossi rifiutata di somministrare la terza pasticca mia figlia oggi non sarebbe qui…”. Dice sicura la donna ora che la situazione si è risolta e la figliola sta bene.
Ma sentite cosa ha dovuto passare. In ospedale il medico decide di dare un farmaco ad Alice per rimediare a una conseguenza dell’infiammazione. Dopo la seconda pastiglia la bambina manifesta tutti i sintomi sopracitati, in un crescendo preoccupante. “Avevo letto il foglietto illustrativo, le reazioni di Alice erano previste alla voce effetti collaterali, ma i medici minimizzavano. Soltanto un neurologo, chiamato dal pronto soccorso durante la notte, quando la bambina aveva le crisi di ipertono e gridava, ha ammesso che questi ‘sono disturbi rari ma talvolta accadono’”.
A questo punto viene sospeso il farmaco?
“Macchè. Ad Alice danno il valium e un altro farmaco, resta intontita per tutto il giorno”.
Lei cosa ha detto ai medici?
“Che erano anomale quelle crisi e che secondo me erano dovute al farmaco (anche perché mia figlia pesa nove chili e il vicino di letto che ne pesa venti prendeva la stessa pastiglia). Mi sono sentita rispondere, da tutti i medici di turno, che l’associazione non si può stabilire e che io non sono medico…”
Dunque?
“Quando, il mattino dopo, si presenta l’infermiera, rimando indietro la pastiglia. Per questo vengo convocata in sala medica con mio marito. Nessuno si fa vivo per sapere come sta la bambina. Davanti a noi cinque o sei persone. Il medico legale dice testuale: ‘Ci siamo riuniti per togliervi la patria potestà perché avete rifiutato di dare un farmaco a vostra figlia’. Senza replicare chiamo il mio avvocato (che però non risponde subito).
Discutiamo. Faccio presente che quegli effetti compaiono nel bugiardino e che pure il neurologo del pronto soccorso li ritiene possibili. I miei ascoltatori sono irremovibili. ‘Sono laureata e so quello che faccio, è una questione di principio’ mi dice una dottoressa. Io le butto il foglietto illustrativo davanti prima di uscire dalla stanza, su invito loro, a consultarmi col marito.
Se mi avessero costretta a dare il farmaco sarei andata filata dai carabinieri. Quando rientro il medico legale abbozza un sorriso e rincara la dose: ‘Finiamola qua, noi le togliamo la patria potestà. Ha idea di quanto costa allo Stato questa seduta?’ Ma come? Mia figlia in fin di vita per colpa loro e devo subire anche questo? E così rispondo: ‘Prendete Alice, portatela via. Lavatela, imboccatela, vestitela, accompagnatela dallo specialista, fate tutto voi. Sono 12 anni che non dormo quattro ore filate, che non lavoro per occuparmi di Alice, ora basta”.
E loro?
“Mi volevano togliere la patria potestà ma la bambina non l’hanno voluta” . Una dottoressa interviene: ‘Sono convinta che Alice stia meglio con la sua mamma’.
Ma alla fine il farmaco è stato sospeso?
Sentite: “La primaria decide di non interrompere la somministrazione durante la nostra permanenza in ospedale. Però, visto che non è una medicina salvavita mi permette di rispedirlo indietro e di scrivere NS1, (Non Somministrato da genitore 1).”
PS. Fu l’infermiera, poi, ad arrabbiarsi, perchè tutte le mattine faceva la strada a vuoto, con la medicina nel piattino, avanti e indietro, ma questa è un’altra storia.
IL SEGUITO
Alice torna a casa e riprende la sua vita di sempre. A fine settembre la sorpresa: la notifica del tribunale dei minori di Venezia. Vi riporto uno stralcio della lettera, sorta di modulo pre-compilato che nulla c’entra con gli ultimi 12 anni a casa di Alice:
“Le notizie trasmesse dai servizi territoriali descrivono una situazione familiare pregiudizievole per un sano ed equilibrato sviluppo psicofisico della minore in oggetto, in rapporto a condotte genitoriali carenti degli elementi minimi per assicurare una crescita e uno sviluppo adeguati e scongiurare il pericolo di pregiudizio.”
PS. In questa storia Stamina c’entra solo perchè i genitori di Alice avrebbero voluto trattare con le staminali la loro figliola ma non ci sono mai riusciti nonostante quattro sentenze del giudice a favore. Sì, anche per la malattia di Alice, provocata da citomegalovirus contratto durante la gravidanza, la medicina ufficiale non offre nulla.