Malattie rare, ecco la terapia genica nascosta da 18 anni (e tuttora blindata)
Andrea nasce nel 1992. Sofia nel 2009. Rossana nel 2013. Tre bambini con la stessa malattia rara, la leucodistrofia. Un morbo senza cura, quasi sconosciuto ai pediatri, che divora cellule nervose e muscoli e porta alla morte entro il primo decennio di vita. L’incidenza è di un neonato su 40mila. Andrea è morto nel 1998. Rossana a gennaio, a un anno dalla diagnosi. E Sofia, la bimba di Firenze conosciuta grazie ai servizi delle Iene (e che ha potuto fare per un periodo le infusioni Stamina) ha appena compiuto cinque anni.
Senza cura, abbiamo detto. La medicina ufficiale non offre nulla. Eppure, roba da non crederci, questa stessa medicina nasconde, da quasi 20 anni, una terapia genica capace di correggere il gene malato usando un vettore virale. La metodica fu testata, la prima volta, proprio su Andrea, nel 1997, all’ospedale San Raffaele di Milano dall’equipe di Claudio Bordignon. Il gene venne scoperto nel 1992 da un medico di Gottingen,, V. Gieselmann, rintracciato da Anna e Giuseppe Baschirotto, fondatori dell’omonima associazione che tuttora si occupa di malattie rare.
Furono i Baschirotto a coinvolgere Bordignon e a radunare, in tempi brevi, le famiglie disposte a partire con la sperimentazione. La terapia venne approvata da Telethon e finanziata con 50 milioni di vecchie lire.
“Andrea ricevette le prime cellule corrette il 7 febbraio 1997” racconta il papà . E poi? STOP. Terapia genica interrotta. Il motivo della brusca interruzione non si è mai saputo. È circolata voce che si dovesse avviare una sperimentazione sui primati. Fatto è che non se n’è sentito più parlare fino al 2010, quando, a suon di grancassa e titoloni, da Science ai telegiornali, Telethon e San Raffaele hanno dato il là alla terapia genica su tre bimbi con leucodistrofia metacromatica. Tre piccoli individuati grazie ai loro fratelli già malati e scelti perché asintomatici. Cliccate qui.
E per gli altri? Niente, la grancassa ha annunciato solo una sperimentazione: sono i tempi della ricerca, è il metodo scientifico, bellezza. Dopo l’esordio nel 1997, dopo gli scimpanzé, si ri-ri-comincia daccapo. Questa volta senza neanche ricordare che gli artefici di tutto furono i Baschirotto, l’associazione veneta leader nella diagnostica delle malattie rare.
Ma quel che è peggio è che il rimedio alla leucodistrofia esiste da 18 anni. Blindato. Ieri con una scusa, oggi con un’altra. Se è vero che il gene si corregge quando la malattia non si è ancora sviluppata, perché non provare a trattare anche i sintomi appena accennati? Come si fece agli esordi con Andrea?
Si comporterebbero così, i registi della terapia genica, se avessero un figlio malato?
Andiamo avanti.
Lo sfogo dei genitori, oggi come 20 anni fa: “Abbandonati dopo la diagnosi”
“La diagnosi è stata come un fulmine che ha attraversato il nostro corpo, siamo rimasti a un tratto tagliati fuori dalla vita e dalla gente… Avremmo voluto prendere contatti con altre famiglie ma questa opportunità ci è stata volutamente negata dai medici del Gaslini” scrive il papà di Andrea, Francesco Boni, riferendosi al 1994 (il libro è “La speranza è un fiore di campo”). Oggi, come 20 anni fa, i genitori percepiscono lo stesso abbandono.
“Dopo che abbiamo avuto la certezza della malattia al Gaslini di Genova, gli specialisti si sono dileguati – raccontano Barbara e Massimo, genitori di Rossana – il caso (una leucodistrofia di Krabbe) aveva perso interesse. Ci è stato detto di affidarci al nostro medico. Peccato che il pediatra, come la maggior parte di essi, ignorasse la complessità della malattia. Infatti, non è mai stato in gradi di darci indicazioni”.
“Rossana vomitava dopo i pasti e piangeva per un senso di malessere diffuso anche dieci ore filate – racconta Barbara – da soli abbiamo imparato a dosare la tachipirina che le desse sollievo. Ma per sei mesi abbiamo brancolato nel buio fitto. In ospedale non ci hanno parlato di associazioni di genitori e neppure di terapie all’estero. Abbiamo cercato su internet. E scoperto che in Usa, in Germania e in Israele la leucodistrofia di Krabbe si affronta con trapianti di cellule cordonali, ci siamo messi in lista anche noi, al Sourasky Medical Center di Tel Aviv, che è ospedale pubblico e clinica universitaria”.
E dopo sei mesi cosa è successo?
“Abbiamo contattato la onlus Voa Voa fondata dai genitori di Sofia (Caterina Ceccuti e Guido De Barros), sono stati loro a mostrarci che semplici esercizi di logopedia permettono alla bimba di non vomitare, finalmente le è stato insegnato a deglutire, a respirare meglio. Abbiamo appreso dell’importanza della fisioterapia, imparato quali sono le posture da adottare in caso di sofferenza. Abbiamo trovato una famiglia allargata, specialisti competenti per i disturbi di Rossana e ci siamo potuti confrontare con genitori come noi. Mai più soli, insomma”.
Perché pensate che vi siano tenute nascoste alternative terapeutiche?
“In Italia nessuno parla del trapianto di cellule cordonali o di qualche altra terapia che aiuti a contenere i sintomi. Abbiamo chiesto al Gaslini cosa pensassero delle infusioni di Slavin e ci hanno risposto che non servono a niente”. Slavin è il medico di Tel Aviv che infonde staminali mesenchimali ed è stato costretto a interrompere l’attività a causa della politica italiana anti-Stamina. Dopo qualche mese di stop forzato, la corte superiore israeliana ha dato ragione al medico e le infusioni sono riprese. Slavin ha diretto per anni il reparto di genetica e trapianti del centro sugli studi genetici di Hadassah, a Gerusalemme.”
Dunque, a Rossana avete fatto le infusioni di Slavin?
“Purtroppo no. Rossana fu visitata al Sourasky Medical Center e inserita nella lista per ricevere le staminali cordonali da donatore, Slavin ci spiegò che, nell’attesa del trapianto, le infusioni di staminali mesenchimali avrebbero potuto rallentare il decorso della malattia, non stavamo nella pelle dalla gioia ma…”
Ma…?
“Anche per le infusioni di mesenchimali occorreva la cartella clinica completa che l’ospedale non ha mai inviato. O meglio, ha spedito con un ritardo di due mesi, durante i quali la situazione di Rossana è precipitata. Quando i sintomi sono troppo conclamati non si riesce a intervenire…”.
Perchè i medici italiani non hanno condiviso le vostre scelte oggi, di tentare l’impossibile (ma non condivisero neppure quelle dei genitori di Andrea, di cercare un confronto con le altre famiglie?)
“Considerano i nostri bambini già morti e ci dicono che non dobbiamo cullare speranze inutili. Ecco, sulla terapia della rassegnazione, hanno sempre speso molte parole. Anche la parola ‘etica‘ l’abbiamo sentita spesso. Ad esempio: cosa fareste se al posto di Rossana ci fosse vostra figlia? L’etica non consente loro di esprimersi”.
Poi?
“Davanti a bambini come Rossana, anche se sai che un giorno moriranno, è importantissimo mantenere le funzioni che hanno il più a lungo possibile, è la loro qualità di vita. Per questo abbiamo cercato di ritardare l’inserimento della Peg, il sacchettino nello stomaco che serve a nutrirli. È un intervento invasivo che fa perdere la deglutizione spontanea. Abbiamo visto bimbi mettere la Peg a due mesi e affrontare lunghe degenze in ospedale. Altri beneficiare delle staminali mesenchimali e riuscire a mangiare la pasta al forno…”.
Grazie a Voa Voa – dal nome delle prime parole pronunciate da Sofia prima di ammalarsi, “vola vola” – per sei mesi Rossana ha vissuto senza sofferenze inutili, ha imparato a mangiare, le mioclonie scomparse (sono gli scossoni involontari in tutto il corpo) . “Soprattutto – si stupiscono Barbara e Massimo – abbiamo incontrato Anna, pediatra che lavora a pochi chilometri da casa nostra, all’ospedale San Paolo di Savona che è anche centro interregionale per le malattie rare, ma la cosa straordinaria è che lei è la mamma di Andrea…”
“Ho avuto l’onore di seguire Rossana che si è sempre fatta capire molto bene – riferisce Anna durante una riunione di Voa Voa a Firenze – Ho imparato che prima di decidere cosa fare bisogna ascoltare i bimbi e i loro genitori. Il pensiero dei medici sembra sia solo quello di arrivare a una diagnosi e a una cura definitiva, se non c è questo si chiude tutto. Invece il medico è anche chi accompagna il bimbo fino alla fine regalandogli il meglio dei suoi giorni”.
Concludo con una bella notizia. Il cantante Nek, vincitore morale di Sanremo ha intitolato una canzone a Sofia, “Credere, amare, resistere”, dal motto di Voa Voa. Leggete e ascoltate qui.
E qui.