Influenza, quanto serve vaccinarsi?
Il tema delle prossime settimane sarà “il vaccino anti influenzale”.
Ricordiamo il flop dell’antinfluenzale della stagione passata, il Fluad. Non era stato formulato sui ceppi di virus circolanti e quindi non era adatto a proteggere dall’influenza. Lo dichiararono i centri di controllo americani (Cdc) in dicembre (cliccate qui), ma il nostro ministero, insieme all’Istituto superiore di sanità, continuò a raccomandare il Fluad per mesi: ne ammise l’inefficacia soltanto in giugno. Cliccate qui.
Perchè?
Oggi ci chiediamo: quanto ci protegge un vaccino antinfluenzale (quando è formulato sui virus circolanti)?
Esistono diversi studi sull’argomento. I più autorevoli rivelano che l’antiinfluenzale non serve sempre a scongiurare la malattia e le sue complicazioni, nè sugli anziani, nè sui bambini, nè sulle donne in gravidanza.
Ringrazio Fabio Franchi, medico, esperto in malattie infettive per averci segnalato i lavori che seguono e spiegato quanto segue:
“Sappiamo che non tutti si ammalano di influenza. È stato calcolato che una piccola parte della popolazione (10-15%) contrae la cosiddetta sindrome influenzale (malessere generale, febbri, dolori articolari, raffreddori) e, di questa, soltanto una percentuale fra il 10 e il 30% è colpita dal vero virus di stagione. Quindi, se si vaccinasse tutta la popolazione con un vaccino protettivo al 100%, questo sarebbe utile nell’1-4,5% dei casi. Ben poco“.
I virus di stagione.
Nelle farmacie sono già pronte le fiale. Le aziende hanno studiato e confezionato il vaccino molti mesi fa immaginando che tipo di influenza arriverà (proprio per questo la precisione è sempre una scommessa…) In genere, si prende a modello l’Australia dove l’inverno sta terminando. Si suppone, dunque, che anche da noi circolino i ceppi dei virus AH1N1, AH3N2 e il B. Questi tre ceppi sono contenuti nel vaccino trivalente. Esiste però anche un quadrivalente con due varianti del B. “Sono sottotipi che già circolavano negli anni scorsi – spiega Franchi – per questo, avendoli già contratti, la maggior parte di noi ne ha una discreta protezione”.
E che cosa è emerso dall’influenza invernale in Australia? Cliccate qui il report. L’età mediana della mortalità associata all’influenza è 85 anni (in gran parte persone con diverse patologie). E i vaccinati? Leggiamo a pagina 3 che l’epidemia è stata simile agli anni scorsi e che i sintomi – febbre, tosse e assenza dal lavoro – sono stati segnalati da vaccinati e da non vaccinati in egual misura, anzi, a voler essere precisi è andata lievemente peggio a chi si è vaccinato!
Con queste aspettative a cosa serve vaccinarsi? Ce lo spiegherà il ministro Beatrice Lorenzin?
Gli studi.
Non c’è solo l’Australia. A rivelarci che i vaccini influenzali non prevengono i ricoveri e non riducono la mortalità sono studi autorevoli oltre alle review della Cochrane Collaboration (che vi illustro sotto). Ci spiega Franchi: “Le revisioni sono più autorevoli dei singoli studi perchè prendono in esame tutte le pubblicazioni sull’argomento e analizzano i risultati più significativi”.
Nel febbraio 2005 su Archives of Internal Medicine apparve un lavoro che prese in considerazione 33 anni di epidemie influenzali, dal 1968 al 2001. Cliccate qui. Gli autori osservarono che non vi era alcuna correlazione tra la maggiore copertura vaccinica degli anziani e le eventuali riduzioni della diffusione della malattia. Inoltre, le morti correlate all’influenza aumentarono stabilmente durante i 33 anni, nonostante il fatto che i vaccinati aumentarono dal 20% (1980) fino al 65% (2001). Conclusioni: “Meno del 10% delle morti nel periodo invernale erano da attribuirsi all’influenza di ogni stagione: il beneficio dell’anti influenzale, negli anziani, è stato sovrastimato“.
Nel 2004 uno studio canadese condotto su 12.200 ospiti di una casa di riposo a Toronto mostrò che i vaccinati e i non vaccinati si erano ammalati nello stesso modo e che oltrettutto l’influenza aveva colpito di più gli infermieri vaccinati di quelli non vaccinati (tasso più alto del 50%).
E sui giovani adulti (sani)? E sulle donne in gravidanza? Idem con patate. Cliccate qui l’aggiornamento 2014 della Cochrane review. La recensione contiene 90 studi, 24 dei quali finanziati dalle industrie. Conclusioni: i vaccini hanno un effetto molto modesto nel ridurre i sintomi influenzali e i giorni lavorativi persi.
Ps. Importante per chi aspetta un bimbo: gli autori dichiarano: “Non sono stati trovati studi randomizzati che valutano la vaccinazione in donne in gravidanza “(!!!) .L’unica prova disponibile proviene da studi osservazionali con qualità metodologica modesta. Su questa base osservazionale la vaccinazione mostra effetti molto limitati” .
Eppure da noi il vaccino è fortemente raccomandato anche alle mamme in attesa.
Sui bambini.
La revisione Cochrane 2015 (cliccate qui) indaga l’opportunità di ricorrere al vaccino anti influenzale per ridurre gli episodi di otite con 10 studi randomizzati (nove finanziati dai produttori di vaccini). Conclusioni: i vaccinati hanno usato meno antibiotici ma hanno avuto più raffreddori e più febbri rispetto ai non vaccinati. Non è stato stabilito se il vaccino ha contribuito a ridurre i ricoveri in ospedale. Gli autori concludono che sono necessarie ulteriori ricerche per stabilire se ha senso vaccinare i bambini.
Vi segnalo anche la revisione di Jefferson del 2012 (cliccate qui) sugli effetti collaterali dell’antiinfluenzale sui più piccoli: narcolessia e convulsioni. Gli autori si domandano “come mai esista un solo studio sul vaccino inattivato somministrato a bimbi sotto i due anni, viste le raccomandazioni a vaccinare i bambini sani dai sei mesi negli Stati Uniti, in Canada, in alcune zone dell’Europa e in Australia”.
Come mai nessuno divulga questi studi? Nè il ministro, nè l’Istituto superiore di Sanità, nè l’Aifa. Perchè l’informazione sui vaccini è a senso unico?